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“Con la rielezione di Sergio Mattarella ha vinto l’Italia”, sorride Peppe Provenzano, vicesegretario del Pd. “Noi ci siamo messi al servizio dell’interesse generale, respingendo l’assalto della destra che è la vera sconfitta di questo passaggio. E infatti sta deflagrando”.
Ma, al di là dell’esito, il modo in cui si è arrivati al Mattarella bis non svela una profonda crisi di sistema?
“Io non mi unisco al coro di chi parla di una sconfitta della politica perché la rielezione ha avuto per protagonista il Parlamento. Noi ne abbiamo assecondato la spinta, che non era dettata da un istinto di autoconservazione ma indicava un’uscita di sicurezza dinnanzi, questo sì, a un sistema politico destrutturato. Ciò che non ha funzionato è il rapporto fra alcuni leader e i propri gruppi, perciò occorre ricostruire partiti veri. Il Pd è l’unico rimasto, anche per questo ne è uscito meglio”.
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Fatto sta che i giochetti sul Colle – Salvini che brucia nomi su nomi, Conte che briga alle spalle di Letta – hanno acuito la distanza tra politica e cittadini. Come si rimedia?
“Con una riforma della politica, tanto più necessaria dopo la riduzione del numero dei parlamentari. È in gioco il buon funzionamento della democrazia. Servono nuovi regolamenti parlamentari, su cui insiste Letta, per scoraggiare il trasformismo dilagante, una legge sui partiti per attuare l’art.49 della Costituzione e la modifica del sistema elettorale”.
In senso proporzionale, formula che non impone coalizioni forzose?
“Ne discuteremo al nostro interno e con le altre forze politiche. Personalmente ritengo che, avendo come obiettivo la ricostruzione dei partiti, il proporzionale con soglia alta sia il modello migliore”.
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Vocazione maggioritaria addio?
“Per paradosso credo che oggi la vocazione maggioritaria si possa perseguire meglio con una legge che spinge i partiti a puntare su se stessi, sul proprio profilo identitario. È quello che serve al Pd. E può dare risposta al deficit di rappresentanza emerso con il grande astensionismo delle ultime tornate elettorali”.
Non sarà che il proporzionale vi è utile per evitare il matrimonio di necessità con il M5S, che sul Qurinale si è rivelato inaffidabile?
“Il campo largo è stato decisivo per respingere il centrodestra quando ha tentato la spallata su Casellati. La coalizione giallorossa, a differenza loro, ha sempre votato insieme. Detto ciò, per farne una coalizione vincente occorre un’idea comune di Italia. E noi la vogliamo costruire non con un puzzle di sigle, ma attraverso la mobilitazione democratica attivata dalle Agorà”.
Smentisce che Conte, all’insaputa del Pd, avesse concordato con Salvini prima la candidatura di Frattini e poi quella di Belloni?
“È inutile nascondere che nei giorni scorsi ci sono state divergenze e persino frizioni, che il segretario ha poi chiarito essere rientrate. Figlie di una differenza di cultura politica che noi però non abbiamo mai negato”.
A proposito della direttrice del Dis, il Pd era pro o contro l’ipotesi?
“Elisabetta Belloni è una servitrice dello Stato di straordinario valore, credo sia stato un danno grave per le istituzioni lanciarla in pubblica piazza senza un accordo politico”.
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Insisto, Letta aveva dato l’ok?
“Noi non abbiamo avuto nemmeno il tempo di discuterne perché nel giro di poco è stata da alcuni bruciata e da altri impallinata. Per la funzione delicata che ricopre penso sia inopportuno continuare a parlarne”.
Il Quirinal game ha riavvicinato il Pd a Iv: tra voi si è aperta una nuova stagione di dialogo? E durerà?
“Con Iv c’è stata sintonia in molti passaggi. A un certo punto avevamo la preoccupazione che Renzi potesse fare asse con il centrodestra su Casellati, ma lui non si è prestato e io per primo, che l’ho sempre avversato, ho espresso apprezzamento. Ma un conto è il piano istituzionale, un altro quello delle scelte politiche. Alcune delle quali, penso al no al Ddl Zan e al contributo di solidarietà contro il caro bollette, indicano una prospettiva neo-centrista che è diversa da quella progressista”.
Nel frattempo il centrodestra è imploso e il centrosinistra fibrilla. Il governo Draghi è più debole?
“Con l’elezione di Mattarella l’obiettivo di dare continuità è stato raggiunto, ma c’è l’esigenza di un rilancio dell’azione di governo. Bisogna intervenire contro il caro bollette e colmare il deficit di politica industriale per accompagnare le transizioni ecologica e digitale nell’attuazione del Pnrr. La ripresa da sola non risolve, anzi fa emergere ancora di più la questione sociale, in particolare sul lavoro”.
Manca un anno alla fine della legislatura: quali dovrebbero essere le priorità dell’esecutivo?
“Serve un’agenda sociale, che non può essere la bandiera del Pd ma è interesse del Paese. Con l’inflazione si pone il tema dei redditi bassi. Va introdotto un salario minimo con il rafforzamento della contrattazione, come proposto dalla commissione insediata da Orlando. Bisogna combattere la precarietà giovanile. E proseguire con le misure per la sicurezza sui luoghi di lavoro, che hanno inasprito sanzioni e controlli. Oggi l’Inail ha comunicato che nel 2021 ci sono stati 1.200 morti sul lavoro, la maggior parte nei cantieri. I bonus edilizi vanno vincolati al rispetto del contratto degli edili che prevede un’adeguata formazione”.
Dopo la batosta presa da Salvini, la Lega uscirà dal governo?
“Non so, ma la responsabilità nazionale è tale solo se è condivisa. Dovrà smetterla di fare due parti in commedia”.
Intanto i moderati sono in movimento e sembra che Fi voglia smarcarsi dai sovranisti: possono diventare interlocutori del Pd?
“Lo sono stati sul Quirinale e lo saranno sulle riforme. Ma la prospettiva politica è diversa. Per noi dalla pandemia si esce a sinistra”.
Bello slogan, ma che vuol dire?
“Più diritti e più giustizia sociale, come in Germania e in Portogallo. Noi siamo vissuti come il partito della stabilità, che è un valore, ma non basta per affrontare l’intreccio tra crisi politica e crisi sociale. Non tutto si potrà fare con questo governo di unità nazionale, ma con coraggio dobbiamo indicare la rotta e diventare finalmente il partito del cambiamento”.