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M5S, Grillo verso Roma. La trattativa con gli attivisti ribelli: “Voto su Rousseau e corsa per la leadership aperta”

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Beppe Grillo è atteso a Roma entro stasera o al massimo domani. Gli avvocati del garante M5S hanno già preso contatti con il pool legale degli attivisti napoletani che ha decapitato i vertici stellati. Una trattativa sottotraccia, per provare a sminare nuove impugnazioni. Grillo è stato chiaro: calma e gesso, niente commenti in pubblico. E le sentenze si rispettano. Il fondatore del Movimento vuole scongiurare a tutti i costi nuove grane giudiziarie. Quindi spinge per un accordo con i militanti ribelli. Molto più di quanto faccia Giuseppe Conte, che avrebbe voluto chiudere la pratica in pochi giorni, rimettendo al voto le delibere appena sospese dai giudici, con un’unica differenza, la partecipazione al voto di tutti gli iscritti, non solo quelli con più di 6 mesi di anzianità.

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Grillo invece è per la trattativa. Lorenzo Borrè, l’avvocato degli attivisti che ha vinto il primo match in Tribunale, spiega che sono 3 le condizioni sul tavolo. La prima: “Si deve votare su Rousseau, lo dice lo statuto. E lo diceva lo stesso Grillo fino a qualche mese fa”. In effetti lo statuto di febbraio, cambiato ad agosto da Conte e ora resuscitato dall’ordinanza di Napoli, non prevede deroghe. All’articolo 1 c’è scritto che tutte le “modalità telematiche di consultazione degli iscritti” devono passare dalla “Piattaforma Rousseau, mediante appositi accordi da stipularsi con l’Associazione Rousseau”. Andrebbe quindi trovato un accordo (politico, economico ed organizzativo, con la consegna dei dati dei nuovi iscritti) con Davide Casaleggio. Il secondo punto, prosegue Borrè, è la votazione di 3 garanti esterni al Movimento. Sempre per citare il vecchio statuto tornato in vigore, non possono fare parte del comitato parlamentari e consiglieri comunali o regionali: l’incarico è “incompatibile con qualsivoglia carica elettiva”. Stop quindi anche a Raggi e Fico, i due superstiti nell’organo di garanzia, dopo le dimissioni di Di Maio. Gli attivisti avrebbero voluto far insediare anche il nuovo Direttivo a 5 membri, che avrebbe dovuto rimpiazzare la figura del capo politico. Richiesta rigettata da Conte. E stando ai cavilli, concede Borrè, “questo passaggio si potrebbe evitare. Gli altri no, pena possibili nuove impugnazioni”. Ecco allora il terzo pilastro della trattativa: la corsa per la leadership “deve essere aperta – riprende l’avvocato degli attivisti dissidenti – non può essere un referendum su una persona. Su questo tema si è pronunciata anche la Cassazione”. Quindi il quesito non potrà essere: Conte sì, Conte no. Ma ci dovranno essere almeno 2 candidati. Queste le richieste dei militanti, che Grillo potrebbe avallare, per mettersi al riparo da altre insidie giudiziarie.

La calata di Grillo a Roma produrrà probabilmente un’accelerazione. Ma “i tempi rischiano di essere comunque lunghi”, spiegano fonti del Movimento. “Potrebbero volerci anche 2 mesi per riempire tutte le caselle”. E il tempo stringe: se le elezioni amministrative si terranno a maggio (la data deve ancora essere ufficializzata), il M5S dovrebbe riuscire ad avere un presidente, o almeno un legale rappresentante, entro aprile. Altrimenti dovrebbe rinunciare alle liste. Nella squadra di Conte c’è chi vede la crisi di febbraio come un’opportunità. Se Di Maio dovesse tornare in campo dopo le amministrative, facendo leva sul flop elettorale, lo stallo subito dai vertici potrebbe diventare un alibi. E alleggerire il peso della sconfitta sulle spalle dell’ex premier. Di sicuro tra i parlamentari vicini a Conte c’è chi teme i tempi lunghi. E preme per uno strappo col vecchio M5S: “Giuseppe, fonda tu un tuo movimento. Tu hai i voti oggi, gli altri no”. Ma l’ex presidente, per ora, vorrebbe evitare la rottura.

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Nella maionese impazzita del M5S, c’è anche una nuova grana: arriva dal Senato, dove la presidente Elisabetta Alberti Casellati ha appena firmato la sentenza del Consiglio di garanzia che annulla l’espulsione di 10 senatori dal gruppo M5S. La cacciata risale a febbraio 2021, quando la pattuglia di parlamentari, di cui fa parte l’ex ministro Barbara Lezzi, non votò la fiducia a Draghi. È un’altra guerra di cavilli. Perché la sentenza annulla l’espulsione, ma non concede in automatico  il reintegro, dato che i 10 senatori, per un solo giorno, dal 27 al 28 gennaio 2022, sono stati membri di un nuovo gruppo, “C.A.L. (Costituzione, Ambiente, Lavoro) – Idv”. Quindi per essere riammessi fra le truppe stellate ora dovrebbero chiedere la re-iscrizione. Difficile che il Movimento la conceda spontaneamente. Salvo sentenze.

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