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Attacchi di panico: cosa sono e come affrontarli

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La parola “panico” si ispira al dio Pan, una divinità greca dall’aspetto inquietante – perché mezzo uomo e mezzo animale – che compariva all’improvviso e altrettanto velocemente si dileguava, lasciando le vittime incredule e spaventate. Quel terrore fulmineo, in grado di annullare la ragione, è lo stesso che caratterizza un attacco di panico, un disturbo d’ansia che può esordire in qualunque momento della vita e scaraventa dentro l’inferno senza alcun preavviso.

«Il primo pensiero di chi lo sperimenta è di essere sul punto di morire, perché la sintomatologia fisica è così intensa e destabilizzante da far ipotizzare un attacco cardiaco», racconta la dottoressa Maura Levi, medico psicoterapeuta presso il Gruppo MultiMedica.

Attacco di panico: tredici sintomi

Stando al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, sono tredici i sintomi somatici o cognitivi che si possono avvertire in un attacco di panico: palpitazioni, battito cardiaco accelerato o tachicardia; sudorazione; tremori; mancanza di fiato; sensazione di soffocamento; dolore o fastidio al torace; sensazione di vertigini, instabilità, stordimento o svenimento; brividi o sensazione di calore; senso di intorpidimento o formicolio; paura di perdere il controllo o di “impazzire”; paura di morire.

«Non è necessario che si manifestino tutti i sintomi elencati. A volte si ha solamente la sensazione illusoria che il pavimento si muova o che tutto intorno a sé ruoti, come su una giostra», tiene a precisare la dottoressa Levi. «Ulteriori caratteristiche associate all’attacco di panico sono il bisogno di chiedere aiuto e il forte desiderio di fuggire dal luogo in cui ci si trova».

Questa complessità di elementi rende complicata la diagnosi, che spesso arriva per esclusione, dopo aver scartato altre possibili patologie organiche che possono determinare la medesima sintomatologia.

Attacchi di panico, come si manifesta la crisi 

Gli attacchi di panico si manifestano in modo improvviso, intenso e generalmente raggiungono l’apice in maniera molto rapida, senza essere legati a una situazione particolare.

«Siamo abituati a pensare che l’ansia venga sempre scatenata da un certo episodio. In realtà, ciascuno di noi porta con sé un bagaglio più o meno pesante di questa emozione, che ai giusti livelli ci è utile, perché rappresenta la nostra capacità di anticipare e prevedere gli eventi, guidando le azioni di ogni giorno», spiega la dottoressa Levi.

«Ovviamente la vita aggiunge sempre qualcosa all’interno di questo bagaglio: lutti, conflitti, delusioni amorose, difficoltà economiche. Così arriva il momento in cui quella valigia diventa troppo pesante da spostare e non ci riusciamo più. È allora che può manifestarsi l’attacco di panico, che non è legato quindi a una certa situazione, ma al fatto che la nostra suscettibilità all’ansia ha raggiunto un livello tale da far strabordare il bagaglio con cui ci muoviamo nell’esistenza».

Si crea evitamento

Il problema, però, è che la situazione in cui l’attacco di panico si manifesta viene istintivamente considerata la causa. Per esempio, se un paziente viene assalito dal panico mentre sta guidando o mentre si trova a bordo di un autobus affollato, inizierà a pensare che l’origine stia in quelle due specifiche condizioni, per cui smetterà di guidare o eviterà le situazioni caotiche.

«Questo fa adottare un comportamento evitante, dove si iniziano a escludere tutte quelle situazioni considerate a rischio, finendo per limitare la propria vita: alcune persone cominciano ad assentarsi dal lavoro o da scuola, evitano di frequentare amici o negozi, smettono di usare i mezzi di trasporto, non vanno a fare la spesa, fino a chiudersi letteralmente in casa, vissuta come unico rifugio possibile. E questo non fa altro che innescare un circolo vizioso, perché aumenta la paura, che diventa fonte di ulteriore stress e produce a sua volta panico», avverte l’esperta.

Quanto dura un attacco di panico

In genere, un attacco di panico dura pochi minuti, al massimo mezz’ora. «Dopo si può avvertire uno stato di malessere generale, provocato dall’episodio appena vissuto, per cui lo stato di ansia può perdurare ancora per qualche ora, ma senza quei “picchi” di disagio che caratterizzano la crisi vera e propria».

Quando avviene per la prima volta, meglio rivolgersi al medico curante per escludere problemi cardiaci o di altra natura: «Una volta ricevuta la diagnosi, bisogna poi rivolgersi a un professionista, perché dagli attacchi di panico si può guarire. O meglio, si può e si deve, perché il corpo viene sottoposto a un forte stress durante queste crisi, per cui è importante arginarle».

Guai a pensare che i problemi emotivi possano facilmente essere controllati, perché dipendono “da noi” e dalla nostra mente: «Così come l’ipertensione o l’iperglicemia richiedono un intervento medico, allo stesso modo i disturbi d’ansia hanno necessità di strumenti specialistici».

Come gestire la situazione

Per prima cosa, chi soffre di attacchi di panico deve “esercitarsi” ad ascoltare il proprio corpo, in modo da evitare di confondere l’attacco di panico con altri problemi e spaventarsi inutilmente.

«Molto utili per normalizzare il battito cardiaco e ridurre la sensazione di ansia sono gli esercizi di respirazione, dove possiamo provare ad allungare la fase di espirazione rispetto a quella di inspirazione. Per esempio, possiamo inspirare per due secondi ed espirare per quattro, poi inspirare per quattro ed espirare per otto, poi inspirare per otto ed espirare per sedici, per poi tornare indietro».

In tutto questo dobbiamo sempre usare il diaframma, per cui mettiamo una mano sulla pancia e l’altra sul petto: l’obiettivo è far alzare la mano poggiata sulla pancia mentre quella posizionata sul petto deve restare ferma.

Attacchi di panico, meglio anticipare

«Quando impariamo a riconoscere gli attacchi di panico, possiamo anche giocare d’anticipo. Se sentiamo che la crisi si avvicina, possiamo assumere qualche goccia di ansiolitico o dei fiori di Bach oppure possiamo praticare un esercizio di yoga. Ma tutto va sempre consigliato da un medico esperto», conclude la dottoressa Levi.

«Autogestire il problema non è mai una buona soluzione, perché rischiamo di cronicizzarlo e renderlo sempre più invalidante. Serve una valutazione personalizzata, fondamentale per formulare un intervento terapeutico mirato, anche se in linea generale la terapia di elezione prevede la combinazione di un trattamento farmacologico, basato su antidepressivi, e una consulenza psicologica o psicoterapeutica».

Se ci pensiamo, in cinese la parola “crisi” è composta da due ideogrammi: uno significa “pericolo” e l’altro “opportunità”. «Il punto sta quindi nel riuscire a cogliere l’opportunità all’interno del pericolo, per cui l’ansia va ridimensionata, svuotata della sua dimensione spaventosa e utilizzata in maniera costruttiva per conoscersi meglio e riconquistarsi il diritto di vivere liberi dalla sofferenza».

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