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di Paola Rinaldi
La presenza di asterischi negli esami di laboratorio è sempre fonte di preoccupazione per i pazienti, eppure non è così raro trovare quel segno grafico di fianco alla voce “leucociti” nelle analisi delle urine.
«Più noti come globuli bianchi, i leucociti sono le cellule che il nostro sistema immunitario impiega in prima linea per rispondere a un’infezione», spiega il dottor Fulvio Ferrara, direttore del Servizio Integrato di Medicina di Laboratorio presso il Centro Diagnostico Italiano. «In particolare, quelli che troviamo a livello urinario sono i granulociti neutrofili, facilmente identificabili al microscopio ottico per la forma tondeggiante e per l’aspetto granuloso del nucleo».
Come sono indicati i leucociti nei referti
Al posto della dicitura “leucociti”, nel referto di laboratorio può capitare di leggere la voce “esterasi leucocitaria”.
«Se nel primo caso sono state conteggiate le eventuali cellule presenti nelle urine, l’esterasi leucocitaria indica una molecola prodotta dai leucociti che viene misurata con metodi analitici più sofisticati rispetto al microscopio ottico», evidenzia il dottor Ferrara. «Anche se in forma diversa, però, rappresentano l’espressione dello stesso indice di rischio».
Quali sono i valori corretti di leucociti nelle urine
Se il valore desiderabile è pari a zero, può comunque essere considerato normale un dosaggio fino a 5-10 leucociti per microlitro di urina. Sopra quei valori, è ipotizzabile una patologia infettiva a carico di un tratto dell’apparato urinario (rene, uretere, vescica), ma non sempre.
«Per esempio, durante l’attività fisica intensa aumenta il flusso e la pressione del sangue, per cui non è raro che si verifichino degli stravasi di leucociti nelle urine, in tal caso collegati allo sforzo compiuto, non a una patologia», racconta l’esperto. «Dunque, un lieve rialzo di leucociti rispetto alla norma non deve subito essere motivo di preoccupazione, per cui l’esame va ripetuto a distanza di 3-4 settimane per verificarne l’andamento».
In caso di rialzi significativi (da 200 leucociti in su), invece, è plausibile ipotizzare un’infezione. Maggiore è il valore, più grave è il problema? «No, ciascuno di noi possiede una personale reattività immunitaria a livello di mucose, quindi in alcuni soggetti il “dispiegamento” di globuli bianchi può essere elevato anche in presenza di batteri piuttosto innocui», specifica Ferrara.
Quali sono le cause più comuni di leucociti nelle urine
La causa più comune di rialzo significativo dei leucociti nelle urine è la cistite, un’infezione tipicamente femminile sia per ragioni anatomiche (nelle donne l’uretra è più breve e questo facilita la risalita dei germi all’interno della vescica) sia per motivi ormonali (l’aumento del progesterone nei giorni precedenti al ciclo mestruale riduce la risposta immunitaria dell’organismo e favorisce l’insorgenza di infezioni).
«Il sospetto è forte soprattutto quando la paziente lamenta una sintomatologia tipica, come un’aumentata frequenza della minzione associata all’urgenza di urinare, una sensazione di bruciore durante e dopo la minzione, la necessità di urinare spesso anche di notte e un senso di pesantezza al basso ventre», elenca Ferrara. «Talvolta, all’esame del sedimento, si riscontrano anche dei globuli rossi, che indicano uno stato infiammatorio della parete vescicale, conseguente all’infezione batterica».
Quali sono le cause meno comuni di leucociti nelle urine
Gli stessi sintomi potrebbero indicare anche altre condizioni particolari, come una pielonefrite (un’infezione del rene e delle pelvi renali, le due cavità a forma di imbuto nelle quali si raccoglie l’urina), una calcolosi renale (dove i “sassolini” sfregano sulle mucose e creano delle micro-lesioni che rappresentano una soluzione di continuo, ovvero un’interruzione più o meno profonda della continuità anatomica dei tessuti, su cui possono innestarsi dei processi infettivi) o polipi vescicali, sia benigni sia maligni.
Come si indaga la presenza di leucociti nelle urine
Una volta riscontrato un rialzo significativo di leucociti nelle urine, il medico può sfruttare degli esami di secondo livello per venire a capo del problema. «Tipicamente, il primo passo è l’urinocoltura, che consente di rilevare nel campione di urina la presenza di batteri e isolarli», commenta il dottor Ferrara. «Oltre a rappresentare l’unico test non invasivo in grado di accertare un’infezione delle vie urinarie, una urinocoltura positiva può essere associata all’antibiogramma, un esame che testa diversi antibiotici sulle colonie di microrganismi allo scopo di trovare il farmaco realmente efficace».
Ecco perché è vietato il fai-da-te, per esempio assumendo degli antibiotici avanzati da altri episodi infettivi e conservati in qualche blister: il 70% dei casi di antibiotico-resistenza riscontrati fra la popolazione generale deriva, infatti, da un uso improprio degli antibiotici per trattare infezioni tutto sommato blande, come quelle delle vie urinarie. «Così, il giorno in cui ci ritroveremo ad affrontare una condizione più grave, come una polmonite, potremmo scoprire di essere resistenti a quegli antibiotici di cui avremmo bisogno per guarire, ma che abbiamo preso troppe volte a cuor leggero», avverte l’esperto.
Se invece l’urinocoltura risulta negativa, anche se ripetuta più volte, il medico può prescrivere un terzo livello di esami, come l’ecografia delle vie urinarie, per accertare o escludere le condizioni più importanti, come una calcolosi renale o un polipo. «Si può arrivare anche a una cistoscopia, una procedura invasiva che consente di visualizzare anomalie e patologie a carico della vescica e delle basse vie urinarie utilizzando uno strumento detto cistoscopio, che viene lentamente inserito attraverso l’uretra fin nella vescica», illustra il dottor Ferrara.
Come si tratta la presenza di leucociti nelle urine
Il trattamento dipende dalla causa sottostante e la sua prescrizione spetta sempre al medico. In compenso, noi possiamo fare molto in termini di prevenzione: «Per mantenere in salute il tratto urinario, è importante bere in abbondanza, evitare il fumo di sigaretta e urinare almeno 6-7 volte al giorno, abbandonando la cattiva abitudine di trattenere la minzione», raccomanda il dottor Ferrara.
«Un eventuale ristagno di urina, infatti, diventa un terreno favorevole per la proliferazione di germi. Lo dimostrano le cistiti ricorrenti nelle donne in gravidanza, quando l’utero genera un dislocamento degli organi addominali e, generalmente, porta al cosiddetto inginocchiamento dell’uretere, il cui percorso viene deviato e strozzato, generando proprio un ristagno di urina».
Infine, conta anche la dieta, che deve essere bilanciata e non troppo ricca di proteine: in caso contrario può derivarne una condizione di disbiosi intestinale che, attraverso vari meccanismi, può aiutare i batteri “cattivi” a prendere il sopravvento e risalire in vescica.
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Tag: calcoli renali, cistite, globuli bianchi, urine.