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ROMA — Non commentare. Lasciar cadere «la sparata identitaria» di Federico Mollicone, evitando di alimentare un dibattito «che schiaccia ancora una volta la coalizione sull’estrema». Ha dato a tutti la consegna del silenzio, Antonio Tajani. Deciso a non aprire un nuovo fronte di scontro nella maggioranza, già impelagata in una serie di beghe da cui fatica a uscire. Ma la scelta del vicepremier e segretario forzista di chiudere in fretta il caso, silenziando le polemiche interne, non riesce tuttavia a contenere il fastidio che tracima dalle fila azzurre.
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«Le sentenze sulla strage di Bologna sono un teorema politico per colpire la destra», ha detto il presidente meloniano della commissione Cultura, peraltro all’indomani del severo monito di Sergio Mattarella sulla matrice dell’attentato alla stazione. Frutto, secondo il capo dello Stato, di «una spietata strategia eversiva neofascista nutrita di complicità annidate in consorterie sovversive che hanno tentato di aggredire la libertà conquistata dagli italiani». A cui il deputato di FdI è sembrato fare il controcanto. Affermando, in ossequio al più trito complottismo diffuso nel suo mondo, che «l’obiettivo di parte della magistratura fosse quello di accreditare il teorema per cui nel Dopoguerra gli Usa, con la loggia P2, il neofascismo e perfino l’Msi avrebbero, con la strategia della tensione e le stragi, condizionato la storia repubblicana».
Parole «inaccettabili», «assurde», «prive di senso» si sono sollevati in tanti nella falange centrista che sostiene l’esecutivo. D’accordo a sorpresa con Elly Schlein che continua a martellare per sapere «cosa aspetti Giorgia Meloni a prendere le distanze, a chiarire se questa è solo la posizione di Mollicone o anche sua e del governo». Convinta, la segretaria del Pd, che «ci sia un tentativo costante di riscrivere la storia»: Fratelli d’Italia «non ha mai tagliato le radici con il proprio passato, si tengono stretta la Fiamma nel simbolo e fanno pure gli offesi», insiste. «Meloni ha difficoltà a scaricare i suoi: antepone le ragioni di partito alla dignità delle istituzioni».
Riflessioni condivise da una parte dei forzisti, preda di un disagio che, a taccuini chiusi, vira in rabbia: «Non è la prima volta che Mollicone se ne esce con queste tesi strampalate», attacca un autorevole esponente del governo. «Se davvero pensa che “le sentenze non sono dogmi” e quelle sulla strage di Bologna “non hanno rispettato le garanzie del giusto processo”, chieda il giudizio di revisione, ovvero l’impugnazione straordinaria prevista dal Codice di procedura penale avverso le condanne definitive, e vediamo come va a finire. Ma sono sicuro che non lo farà perché la sua è solo propaganda assolutoria a uso e consumo di una frangia di post-fascisti che si nutrono di vittimismo e manie di persecuzione».
Scurati “L’obiettivo è palese, vogliono riscrivere la Storia per cancellare le loro colpe”
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Una riflessione impietosa, che tradisce l’insofferenza per una sortita che «fa male a tutti». Lo dice chiaro il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, l’unico a potersi sottrarre alla consegna del silenzio imposta da Tajani. «Il nostro problema è culturale. È quello di voler rifare i processi alla storia e di non accettare mai le verità storiche. Anche quando sono verità giudiziarie acclarate da sentenze definitive», attacca l’ex direttore di Panorama. «Quello di Bologna è uno dei casi in cui c’è poco da discutere, c’è ben poco da aggiungere nel dibattito pubblico: ci sono delle responsabilità definite e sono quelle sancite dalla magistratura», taglia corto. «Su questo, nessun revisionismo è tollerabile».
Una presa di distanza netta, che racconta l’umor nero di Forza Italia, fermandosi tuttavia sulla soglia di Palazzo Chigi. «Poi, però, non si può per estensione contaminare di responsabilità politiche il governo», avverte difatti Mulè. «Né è giusto attribuire eredità a partiti come quello di Giorgia Meloni, che non hanno alcuna responsabilità». Da quel tragico 2 agosto «sono passati 44 anni, è un altro mondo, politicamente e culturalmente». Per cui «chiedere a Meloni un’abiura, l’ennesima, rispetto a una tragedia alla quale lei e i suoi sono totalmente estranei, è una forzatura che non giova alla democrazia», bacchetta pure le opposizioni il deputato azzurro. «Il parallelo tra l’eversione neofascista e la destra del 2024 non regge».
È sempre la solita storia del passato che non passa, il messaggio sottinteso. Un problema, per la seconda gamba del governo. In Italia, ma ancor di più in Europa.