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Lorenzo Biagi: “Ai brigatisti niente sconti. Dopo la scorta negata mio padre ucciso di nuovo”

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BOLOGNA — Era in casa quando suo padre, Marco Biagi, fu freddato con sei colpi davanti al portone. Sua mamma, Marina Orlandi, gli intimò di non uscire, per proteggerlo, lui poco più che ragazzino si affacciò dalla finestra della sua camera e capì tutto. «Ora sono sgomento, è come se lo avessero ucciso per la seconda volta» reagisce, 22 anni dopo, Lorenzo Biagi, alla scarcerazione per fine pena del brigatista Simone Boccaccini. «Lui esce dal carcere, io non uscirò mai dal mio dolore».

Boccaccini è uscito prima per buona condotta e per aver avuto già nel 2019, uno sconto di pena di 10 mesi, se lo aspettava?

«Lo sapevo, prima o poi doveva succedere. Ma quando poi accade ti fa male, è qualcosa di molto pesante da mandare giù. Mi ferisce in modo profondo sapere che lui adesso è libero, lo trovo sconcertante, ma non posso farci niente. Ne prendo atto e basta. Sul piano personale provo rabbia e senso di impotenza. Spero solo di non incontrarlo mai, mi farebbe troppo male».

Non pensa che, come afferma il legale della vostra famiglia, Guido Magnisi, oltre alla dolorosa vicenda umana, l’espiazione della pena debba essere rieducativa?

«La legge italiana è questa e la rispetto, Magnisi parla giustamente da uomo di legge. E vorrei sperare che il carcere almeno sia stato rieducativo per Boccaccini, anche se non si è mai pentito di quello che ha fatto, anzi ha sempre sostanzialmente negato il suo coinvolgimento senza mai prendere le distanze dalla banda armata. Io parlo da figlio di Marco, dalla parte delle vittime delle Nuove Brigate Rosse: ho perso il mio babbo che avevo 13 anni. Una riduzione di dieci mesi, nel caso di Boccaccini, è minima, ma è un segnale sbagliato che si dà e cioè che non si riesce a far scontare sino in fondo la pena agli assassini di mio padre e non solo».

Boccaccini è stato l’unico del commando a non aver avuto una condanna all’ergastolo.

«Mi auguro che almeno chi ha avuto l’ergastolo e lo sta scontando, ovvero Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, non esca prima. Ripeto, per me chi si macchia di reati così gravi non dovrebbe avere sconti, non concepisco per i brigatisti la buona condotta. Sono assassini e basta, mai pentiti».

Lei oltre alla rabbia, ha sempre detto di provare indifferenza: cosa prevale ora?

«Entrambi i sentimenti. La rabbia sul momento, ma subito dopo l’indifferenza totale, ignorarli è il mio modo per andare avanti nella mia vita, che è l’unica cosa che conta. Sto distante, ma non perdono. Non odio, ma ho sempre detto che non perdonerò mai gli assassini del mio babbo e coloro che gli hanno negato la scorta, permettendo così che venisse lasciato solo e ucciso».

Scajola, allora ministro degli Interni, fu indagato per la mancata assegnazione della scorta, poi la prescrizione. Le ha fatto male a suo tempo anche questo?

«So che Scajola ora è sindaco di Imperia. Ma non mi interessa, e non fu lui il solo responsabile. Per andare avanti nella mia vita con la maggiore serenità possibile non ci voglio più pensare».

Quando è riuscito a fare i conti con quanto è accaduto?

«Crescendo ho cominciato a studiare cosa è stata la lotta armata, il terrorismo degli anni ’70, mi impressionò il numero delle vittime delle Brigate Rosse. Volevo capire, così come ho letto il Libro bianco e altri scritti di mio padre. E adesso vado nelle scuole, parlare ai ragazzi mi aiuta ed è importante che loro conoscano, mi travolgono sempre con tante domande. Sul piano personale ho avuto mia mamma e mio fratello più grande a sostenermi. Mi manca un padre a cui chiedere consigli, con cui confrontarmi, con il quale condividere passioni. Amava la bici, non ho mai potuto andare in giro con lui, e non c’è più accanto a me a tifare per il Bologna».

 

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