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La guerra in Ucraina raccontata ai bambini. Daniele Novara e Franco Lorenzoni spiegano come e quando parlarne

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Alice ha le guance dipinte del simbolo della pace. Leonardo e Margherita corrono toccando il loro cielo, bandiera arcobaleno cucita a metà piazza. Rosalia, cavalcioni sul papà, stringe in mano il cartoncino colorato, c’è scritto: “Basta uccidere bambini in guerra”. A duemila cinquecento chilometri e diversi gradi di separazione ci sono i nostri di bambini a cui arrivano immagini, foto, video, discorsi tra adulti, echi del conflitto ucraino. Se ne parla in casa, in classe, sui giornali, alla tv. Ma la guerra va spiegata ai bambini? E se sì, come si fa?

Lo abbiamo chiedo a Daniele Novara, pedagogista, autore, counselor e formatore, ha fondato il Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, e a Franco Lorenzoni, per 40 anni insegnante elementare, ha fondato la Casa-laboratorio di Cenci, centro di ricerca educativa, il suo ultimo libro è “I bambini ci guardano”. Ecco di seguito le due interviste.

Daniele Novara

Pedagogista, ha fondato il Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti

Professor Novara, i bambini vanno protetti dal racconto della guerra o bisogna parlarne?

“È sempre una questione di età. Nella prima infanzia la capacità di riconoscere il fenomeno della guerra non è sostenibile per lo sviluppo neurocerebrale di un bambino. E l’unico risultato che si rischia di ottenere è quello della paura, dell’angoscia, del panico. Una paura abbandonica: il terrore di ritrovarsi in quelle immagini e situazioni senza la protezione genitoriale. Ricordo che, quando cadevano missili su Baghdad, i più piccoli domandavano quando sarebbero caduti sulle nostre teste”.

Da che età allora si può affrontare la realtà?

“Nella seconda infanzia, dai 9-10 anni, si può iniziare a parlarne. Prima vanno in qualche modo protetti: la guerra è per fortuna qualcosa di distante dal loro immaginario e bisogna evitare di farla entrare nelle loro emozioni infantili”.

Ci sono però la tv, i social, i giornali…

“I bambini non andrebbero esposti alle immagini di distruzione e di morte. Ancor più se soli, abbandonati davanti alla tv senza filtri o protezioni. Da tre generazioni in Europa siamo fuori dalla guerra, non c’è più questo immaginario. Dal punto di vista neurologico è importante perché non si considera la guerra come un fenomeno normale. È qualcosa di inammissibile a livello cognitivo. E questo è molto positivo, è anche il bello di vivere in Europa, qualcosa che dovremmo difendere con grande orgoglio e determinazione. Adesso questo conflitto è qui, in maniera inaspettata, sorprendente, sconvolgente ma la guerra non va riportata nelle esperienze del possibile”.

E a scuola come andrebbe affrontato il tema?

“Ribadendo il portato della nostra Costituzione. Lì dentro c’è un messaggio molto chiaro: la guerra non è consentita. È un principio che i bambini studiano in educazione civica e che riescono a capire. Dire loro che la violenza va rifiutata, che non si può uccidere nessuno e che la guerra è l’uccisione di persone su larga scala: tutto questo è per loro un pensiero concreto e dunque comprensibile. L’articolo 11 della Costituzione andrebbe letto, scritto, disegnato”.

Quale errore invece non va commesso?

“Bisogna fare molta attenzione ed evitare di dire al bimbo che la guerra “è come quando tu litighi con tuo fratello o con un tuo compagno di scuola”. Creare questa assurda correlazione tra il litigio infantile – un comportamento normale, innocente, naturale, legato al gioco – e un evento così tragico, devastante e irreversibile, come quello della guerra, è l’errore principale che possiamo fare: è terrorismo educativo. Piuttosto è imparando a litigare che si imparano a gestire i conflitti. Meno parole si usano meglio è”.

In che senso?

“Il bambino a fronte di una spiegazione interiorizza con categorie che non sono quelle adulta. Il genitore vuole spiegare ma crea confusione, vuole tranquillizzare ma crea ansia. Dice Liliana Segre: “Non portate i bambini nei campi di sterminio, nei luoghi dell’orrore”. Sono d’accordo con lei: si spaventano soltanto e una volta che si sono spaventati i loro “anticorpi” contro la paura si indeboliscono. Ci vuole rispetto, dobbiamo avere più rispetto per i bambini prima di proiettare su di loro i nostri bisogni di opporsi alla guerra. Oggi come mondo adulto stiamo perdendo la capacità di comprendere i tratti tipici infantili. Abbiamo talvolta pretese di ragionevolezza che non sono compatibili con il loro mondo basato su pensiero tangibile, motorio, concreto, emotivo”.

I bambini si sono trovati davanti all’esperienza recente e al racconto del Covid, ora la guerra…

“Il Covid è stato per loro un’esperienza effettiva, reale, che nessuna generazione precedente aveva mai vissuto. Hanno visto i loro genitori e le loro maestre con le mascherine in un momento di crescita in cui il volto, l’espressione, la reciprocità comunicativa sono tutto. Facciamo finta di non pensarci ma dobbiamo aspettarci delle ricadute: come si fa a essere del tutto tranquilli essendo cresciuti così? Anche per questo credo che sottoporli anche al fenomeno della guerra non sia ora necessario”.

Conflitto Ucraina, la gara per inviare cibo e coperte: “Ci sono feriti, servono anche bende”

di
Maurizio Crosetti

28 Febbraio 2022

Franco Lorenzoni

Insegnante elementare, ha fondato la Casa-laboratorio di Cenci

Lorenzoni, vorrei chiederle anzitutto: dobbiamo parlare di questa guerra ai più piccoli, ai bambini delle elementari?

“Io credo sia importantissimo parlarne. I bambini sono in grado di affrontare grandi temi a qualsiasi età, ma farlo insieme è molto meglio. A scuola si ha la possibilità di scrivere, leggere e ragionare confrontandosi e discutendo, altrimenti i bambini restano soli di fronte a immagini cruente e frammenti di narrazioni captati dalla tv e le paure diventano ingovernabili. Per affrontare le loro ansie e i loro legittimi timori dobbiamo ascoltarli con attenzione dandoci tempo, tanto tempo per riuscire a dare valore al loro pensiero, dialogando con loro. I bambini pensano con coerenza e maggiore rigore di tanti adulti. Arrivano a dire cose che noi non vediamo”.

Cosa scrivono?

“Ricordo una bambina che un giorno ci domandò “perché preferiamo giocare alla guerra che alla pace?”. Un’altra, anni fa, diede una definizione stupenda della nonviolenza, affermando che “Gandhi non dava ragione a uno, ma a due”. Ieri una ha scritto: “Anche se ci fosse una motivazione, non sarebbe giustificabile, non c’è alcuna ragione possibile per la guerra”. E un altro: “Putin e Zelenski sembrano bambini che giocano con i carri armati e con il fuoco”.  Fermiamoci un momento su questa frase, rivela l’inadeguatezza dei “Grandi”, visti in tutta la loro piccineria. Talvolta i bambini sono in grado di accorgersi che il re è nudo. E anche assai pericoloso! Uno ha scritto ad esempio che “Anche la seconda guerra mondiale è iniziata così”. In questo modo si sentono dentro la storia, e stare dentro la storia significa costruire gli strumenti per imparare a dire la propria e alimentare il sogno che magari questa storia va cambiata. C’è un’altra frase stupenda detta da una bambina di 5° elementare: “La guerra è come suicidarsi”. Con saggezza lei pensa che in guerra non vince nessuno. E ancora: “Oltre al Covid anche la guerra, adesso basta!”. È quel che abbiamo pensato tutti…”

Non rischiamo di spaventarli, oltre il Covid appunto?

“Proprio perché la guerra è una cosa che spaventa, che fa paura, bisogna cercare di elaborare insieme la paura utilizzando testimonianze delle vittime, testi, tanti punti di vista. Non dimentichiamo mai che la guerra è il modo più osceno in cui si palesa ai loro occhi la follia del mondo adulto che, invece di rassicurali, li terrorizza. “Di chi posso fidarmi se gli adulti sono così?”. La guerra è il peggior tradimento dell’infanzia. Una ferita che non si può e non si deve nascondere”.

Lei ripete sempre la parola “insieme”.

“Una comunità che ragiona, si fa domande, sa ascoltare posizioni differenti e sostare di fronte a dubbi e domande incarna la speranza. Attraverso il dialogo si riesce a costruire insieme una piccola comunità. Leggere insieme fa bene e praticare la scrittura collettiva insegna la cosa più importante: l’ascolto reciproco e la capacità di mediazione. Il riuscire anche a contenere l’istintivo desiderio di imporre il proprio punto di vista”.

E come si risponde alle domande dei bambini?

“Una maestra ha raccontato che, con grande sincerità, ha detto ai bambini che anche lei molte cose non le capiva. Siamo tutti di fronte a qualcosa di difficilmente comprensibile perché anche noi adulti non sappiamo esattamente perché è scoppiata questa guerra e, soprattutto, come andrà a finire. Credo che confrontarsi con il tema dell’incertezza, ammettendo le nostre difficoltà, appartenga a pieno titolo all’educare alla complessità, oggi”.

Qual è, invece, l’errore da non fare?

“Abbandonarsi alla superficialità e alla retorica. Bisogna darsi tempo, non fare le cose in fretta. Non si dà una comunità se non c’è ascolto reciproco”.

Cosa farebbe lei se fosse in classe?

“Quando accade qualcosa di così enorme credo sia necessario fermarci e darci il tempo per fare emergere tutto ciò che cova nel nostro sentire più profondo utilizzando magari diversi linguaggi: dalla pittura all’improvvisazione musicale, prendendo spunti anche dalla letteratura, dalla poesia e dal teatro. Aristofane ci ha lasciato pagine memorabili contro la guerra. Anni fa, in quinta elementare, mettemmo in scena frammenti di Lisistrata, in cui le donne si ribellavano alla follia guerresca dei loro uomini”.

Come “La luna di Kiev” di Gianni Rodari. Lei l’ha postata sulla sua pagina Facebook.

“Sì, perché le bambine e i bambini della scuola primaria di Giove con le loro maestre e maestri hanno discusso della guerra in Ucraina, poi hanno letto questa poesia e disegnato, composto e firmato un lungo cartello, che ora è attaccato alla facciata della scuola. Dice che la luna di Kiev e quella di Roma è sempre la stessa, e che i suoi raggi viaggiano senza passaporto… Se io fossi in classe proporrei anche il “Dialogo tra la Terra e la Luna” di Leopardi: parla della relatività dei punti di vista, con la Luna che sbeffeggia la Terra che pretende che ogni cosa sia solo nel modo in cui lei la pensa. La guerra è la forma più crudele e cruenta di sopprimere le diversità, mentre quel grande maestro che fu Mario Lodi sosteneva che la democrazia nasce dal dialogo e dalla parola gentile”.

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