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Morte del garante nazionale dei detenuti, il fratello costretto a saltare il funerale. Non può lasciare il carcere

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Ministri, sottosegretari, stato maggiore calabrese e non di FdI. Per l’ultimo saluto al presidente del Collegio nazionale dei garanti per i detenuti Maurizio D’Ettore, morto il 22 agosto scorso, a Locri sono arrivati tutti. A mancare, in chiesa come alla veglia funebre, era il fratello di D’Ettore, Pasquale. Alla sua richiesta di lasciare il carcere di Catanzaro non c’è stata alcuna risposta.

“Aveva chiesto di poter vedere la salma del fratello e di incontrare la madre – spiega l’avvocato Eugenio Minniti, che da anni lo assiste – ma all’istanza non c’è stato neanche riscontro da parte del tribunale di sorveglianza”.

Anche nella giustizia ad agosto, per di più nel weekend, tutto va più lentamente. Ma la circostanza, si confessa a mezza bocca in ambienti di Fratelli d’Italia, avrebbe provocato più di un sospiro di sollievo, soprattutto fra i gallonati arrivati a Locri. Al funerale di D’Ettore, che dopo un passato in Forza Italia aveva formalmente aderito al partito di Giorgia Meloni, c’erano il ministro Carlo Nordio, i sottosegretari Wanda Ferro e Andrea Delmastro, il responsabile dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, più assessori regionali e sindaci di area. Per loro, si mormora, sarebbe risultata assai ingombrante la presenza di un familiare del Garante – voluto a dispetto delle tante polemiche che ne hanno accompagnato la nomina – piantonato dagli agenti a pochi metri. Così come imbarazzante per i più è il reato per cui Pasquale D’Ettore sta scontando la pena: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’inchiesta della procura antimafia di Reggio Calabria si chiama convenzionalmente “Leone”. Una storiaccia di migranti pakistani e indiani costretti a pagare anche 18mila euro per un permesso di soggiorno, ottenuto da D’Ettore e altri sfruttando il decreto flussi e decine di imprenditori compiacenti o convinti ad esserlo da uomini della galassia dei clan della Locride. Per tutti gli imputati l’aggravante mafiosa è caduta nel corso dei diversi giudizi celebrati; dalle altre inchieste in cui il fratello del Garante è stato coinvolto è sempre uscito pulito, dell’unica condanna rimediata non gli rimangono che pochi mesi da scontare. “Il fine pena è fissato per il 5 ottobre”, spiega l’avvocato Minniti. “Da mesi abbiamo presentato istanza per i domiciliari, ma non è stata neanche fissata l’udienza”.

Problema: proprio il centrodestra ha reso ostativo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Traduzione, niente libertà condizionale, semilibertà, sconti di pena o misure alternative. “In realtà lui è stato condannato prima che il reato diventasse ostativo, quindi non dovrebbe essere soggetto a questo regime”, spiega il legale, che su questo sta portando avanti la battaglia. Il presidente del Collegio, che neppure ai suoi più stretti collaboratori aveva parlato della situazione del fratello, la seguiva da vicino. “Una situazione paradossale: un incensurato alla prima condanna costretto a fare fino all’ultimo giorno di carcere”.

Macabra ironia della sorte: dopo un’estate in cui a tenere banco è stata la polemica su carceri che scoppiano e suicidi che raggiungono numeri record dietro le sbarre, il funerale del presidente del Collegio diventa dimostrazione plastica delle anomalie del sistema. E di quelle misure alternative che esistono sulla carta, permetterebbero di liberare quasi 25mila dei 61.500 detenuti negli istituti di pena italiani, ma rimangono nella maggior parte dei casi ipotesi inesplorata.

 

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