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Ius scholae, il testo base alla Camera: i figli degli immigrati diventano italiani dopo 5 anni di scuola

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ROMA – Due articoli che cambiano la legge sulla cittadinanza, ma che non hanno nulla a che vedere con lo ius soli, di cui si è parlato per decenni. Oggi in commissione Affari costituzionali della Camera, il presidente grillino Giuseppe Brescia ha illustrato la riforma che ha chiamato “ius scholae”. I circa 800 mila bambini figli di immigrati, nati e cresciuti in Italia, potranno diventare italiani a tutti gli effetti, a patto che abbiano fatto almeno un ciclo di 5 anni di scuola. 

Il diritto di cittadinanza ai nuovi italiani è passata attraverso le forche caudine: discussa, bocciata, rinviata. Non se n’è mai fatto nulla per l’opposizione delle destre. Ma Brescia è ottimista, a patto – dice – che si tenga fuori lo ius scholae dalle questioni di sicurezza e immigrazione. Qui si sta parlando di un’altra cosa: nelle scuole italiane ad esempio, ci sono 20 mila bimbi ucraini che potrebbero diventare cittadini italiani. Lo stesso Salvini, che ha sbandierato la necessità di accoglienza dei profughi ucraini, potrebbe davvero opporsi? 

Diritti: non si chiamerà più Ius soli ma Ius scholae. La legge è pronta

di
Giovanna Casadio

25 Febbraio 2022

Sempre Brescia nella sua relazione ha invitato a mettere al centro “il ruolo della scuola come potente fattore di integrazione”. Ha detto: “Ogni tentativo di riforma è stato fin qui fortemente influenzato da strumentalizzazioni politiche e distorsioni mediatiche che hanno solo alzato il volume della propaganda senza portare alcun cambiamento”. Da qui un testo semplice, “capace di non prestare il fianco a manipolazione”. E aggiunge: “Lo dico con chiarezza, nel testo proposto, non c’è lo ius soli, ma una nuova fattispecie orientata al principio dello ius scholae”. 

E quindi i ragazzi figli di immigrati, italiani di fatto ma non di diritto, potranno uscire dal limbo. Recita la legge: “Il minore straniero nato in Italia o che vi abbia fatto ingresso entro il dodicesimo anno di età e che abbia risieduto in Italia senza interruzione e che abbia frequentato per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici…”,  facendo richiesta lui avrà la cittadinanza italiana. 

Dopo decenni di scontri, e addirittura una approvazione nel 2015 alla Camera per poi finire nel nulla al Senato, il provvedimento è una mini rivoluzione dei diritti. Modifica la legge numero 91 del 1992 che si basa sullo ius sanguinis, il diritto cioè alla cittadinanza italiana solo se figlio di almeno un genitore italiano. Mentre i bimbi figli di stranieri possono chiedere la cittadinanza dopo i 18 anni, e se hanno risieduto ininterrottamente in Italia.  

Matteo Mauri, ex vice ministro all’Interno, al quale il segretario dem, Enrico Letta ha delegato il dossier cittadinanza, fa pressing: “Siamo molto soddisfatti che se ne ritorni concretamente a discutere. Il Pd è da sempre molto determinato e il segretario Letta ha spinto da subito in questa direzione. È una questione di civiltà che è in sintonia con la maggior parte dell’opinione pubblica. Sarebbe assurdo non farlo. Sappiamo che non sarà facile a causa dell’opposizione ideologica di alcuni partiti. Ma faremo di tutto per farla passare nella forma più avanzata possibile”.  

Ancora Brescia: “Credo che il modello dello ius scholae possa trovare un consenso largo, anche perché mette al centro il valore della scuola, il ruolo dei nostri insegnanti. È in classe che si costruisce la cittadinanza, l’appartenenza a una comunità. Ho lavorato su questo testo semplice che può essere approvato già in questa legislatura”.  

C’è anche un invito a rivedere i criteri per la cittadinanza degli italiani all’estero, lo ius sanguinis. Anche su questo le polemiche non mancheranno. 

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