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“Non c’è più tempo, né spazio”. Comincia così la lettera dal carcere di Torino sottoscritta da 57 detenute, da giovedì 5 settembre in sciopero della fame a staffetta e a oltranza. Lo porteranno avanti senza una data di fine, Paola, Marina e tutte le altre, che quella lettera l’hanno firmata con nome e cognome.
“Non c’è più tempo, né spazio” ribadiscono le 57 donne che già a Ferragosto avevano scelto di fare lo sciopero del carrello, astenendosi dal cibo somministrato dall’amministrazione penitenziaria. “In queste strutture fatiscenti e insalubri si fa fatica a gestire un’esistenza”.
Lo scrivono al termine di un’estate che definiscono “rovente”, non solo per il clima, ma per il susseguirsi di “suicidi, eventi critici, roghi, detenuti e agenti feriti”. L’ultimo episodio è quello di Joussef Moktar Lota Baron, 18 anni appena, chiuso in carcere per aver rubato una catenina e poi morto per il rogo di un materasso.
“Non c’è più tempo, né spazio”. E questa mancanza, per il padiglione femminile del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino, ha un nome: “sovraffollamento”. A causa del quale, spiegano, “questi magazzini di corpi stanno per esplodere”.
“Questa scelta pacifica ha lo scopo di richiamare l’attenzione pubblica, del Parlamento e delle Istituzioni sulla situazione d’emergenza umanitaria totale delle carceri. La portiamo avanti perché venga concessa qualsiasi misura che riduca il sovraffollamento o la liberazione anticipata speciale di 75 giorni”.
Nell’istituto penitenziario in cui le proteste – tra materassi bruciati, rifiuti di rientrare in cella e pestaggi – vanno avanti quasi ininterrotte dal 12 luglio scorso, le donne scelgono lo sciopero pacifico e la penna, per “smuovere il più possibile là fuori” e per far arrivare, anche attraverso gli organi di stampa, il messaggio alle Istituzioni.
Si rivolgono ai parlamentari, ai ministri, richiamano la Costituzione e i diritti fondamentali, perché venga ripristinato “il senso utile della pena, che in queste condizioni è del tutto inefficace in prospettiva futura”. Chiedono concretezza, attenzione, “che tutti mettano da parte le strumentalizzazioni e che si decida”.
E poi tornano ad appellarsi al capo dello Stato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, garante della Carta fondamentale: “Convinca coloro che insediandosi al Governo hanno giurato proprio sulla Costituzione a ridurre il numero dei reclusi, rispondendo con soluzioni logiche e umane”.
“L’unico crimine che vediamo – chiudono – e che subisce l’intera comunità penitenziaria, fatta di detenuti e detentori, è l’indifferenza”.
Seguono 57 firme: Manuela, Fabiola e Tessa della terza sezione. E poi Elisa, Stefania, Corina della prima. Sabrina, Roxana, Angela della seconda. Forse se ne aggiungeranno ancora. Forse anche i comitati che da tempo si occupano di carcere appoggeranno l’iniziativa. Forse, sperano le recluse, qualche politico verrà. Per vedere con i propri occhi il carcere da dentro.”Sarebbe di grande aiuto – chiudono le cinquantasette firmatarie – Non c’è più tempo, né spazio”.