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Ius Scholae e cittadinanza: “Determinanti per il futuro dell’Italia, non dei migranti”. Il dibattito con la Comunità di Sant’Egidio

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“L’integrazione non è una questione che ha a che fare con il futuro dei migranti, ma con il futuro dell’Italia”. Mentre nella maggioranza di governo ancora ci si spacca sullo Ius scholae e il referendum per la riduzione dei tempi per la concessione della cittadinanza agita il dibattito politico, da Cagliari arriva un messaggio d’allarme che lascia poco spazio alle interpretazioni.

Senza il riconoscimento della cittadinanza ai minori con genitori stranieri che vivono in Italia e la semplificazione delle procedure per gli adulti, il Paese – spiegano padre Camillo Ripamonti del centro Astalli e l’ex magistrato Claudio Cottatellucci della Comunità di Sant’Egidio, ospiti del dibattito organizzato da Repubblica al Medfest – è destinato solo a essere sempre più indebolito da spopolamento, denatalità, processi di marginalizzazione.

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“Quella italiana in materia è una delle peggiori legislazioni d’Europa”, non esita a dire Cottatellucci, a colloquio con la vicedirettrice Conchita Sannino insieme a padre Ripamonti, l’assessora ai trasporti di Regione Sardegna, Barbara Manca e Amara Doukouré, una delle apprezzate guide della (pluripremiata) cooperativa La Paranza di Napoli che gestisce le catacombe di San Gennaro, che sulla sua pelle ha vissuto e vive tutte le contraddizioni e le storture di una legge nella migliore delle ipotesi miope.

Le storture volute sulla cittadinanza

“Per la cittadinanza bisogna dimostrare una permanenza ininterrotta di dieci anni – spiega Cottatellucci – A Brescia una famiglia aveva un buco di tre mesi perché erano in affitto, ma il contratto non è stato registrato. Siamo dovuti intervenire noi, perché nonostante ci fossero le dichiarazioni delle assistenti sociali e della pediatra che aveva regolarmente visitato la figlia, avevano ricevuto un no alla domanda di cittadinanza”. E non si tratta di un unico corto circuito, di un caso isolato, ma di regolari storture. Magari anche volute.

“Paura costruita a tavolino. Ma è del povero non del diverso”

“Si sta dando una lettura identitaria alla cittadinanza – denuncia padre Ripamonti – sempre più viene utilizzato come strumento di esclusione delle persone piuttosto che come mezzo di costruzione di comunità”. Da troppo tempo, le migrazioni sono argomento utilizzato “solo per suscitare paura. Si fa leva su quelle più basiche”. Lo dimostra l’ondata di turisti stranieri che invade le città e viene salutata come manna per l’economia. “La paura è del povero, non del diverso”, spiega il gesuita. Il messaggio, tanto basico, quanto immediato: sottraggono risorse. “In realtà – sottolinea – quelle risorse sono state già sottratte a tutti quanti da tempo e la questione doverosa da affrontare sarebbe su come ripristinarle”.

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Il prezzo pagato anche dai bambini

Degenerazione comune nella “fortezza Europa”, da tempo più concentrata nella difesa di confini che si era ripromessa di abbattere, piuttosto che in una gestione condivisa delle migrazioni. Che sono fenomeno strutturale – ci tengono a sottolineare tutti – non emergenza.

Ma è orizzonte che si è perso da tempo. E il prezzo lo stanno pagando persino i bambini. “Parlo da madre – dice l’assessora Manca – mi capita di accompagnare i miei figli a scuola e le classi sono piene di bambini con genitori stranieri. Che non abbiano gli stessi diritti è inconcepibile”. Eppure, sono in tanti a gettare la spugna e abbandonare la scuola – ricorda Cottatellucci – perché piegati dai ripetuti e insensati ostacoli burocratici. “Sono politiche – osserva padre Ripamonti- che dimostrano una straordinaria mancanza di lungimiranza”.

Integrazione, percorso a ostacoli

Accoglienza e integrazione, emerge dal dibattito, sono ormai una corsa ad ostacoli, certificati per legge. Un esempio? Il corso di italiano, cui chi arriva non ha diritto se non dopo il riconoscimento della protezione internazionale. “Peccato che nel frattempo passino anni, durante i quali si costringono le persone a vivere in condizioni di totale estraneità”. Una ricetta perfetta – dice padre Ripamonti – “per creare marginalità”.

È condizione che Amara Doukouré conosce bene. Ci ha messo cinque anni per avere finalmente un documento in mano “e sono stato fortunato perché ho incontrato persone che mi hanno aiutato e supportato, ma non per tutti è così”. Così come non tutti quelli che affrontano la traversata su gusci di legno e carrette del mare arrivano a toccare terra. “Quando parti lo sai che arrivare non è per nulla scontato. Ma non hai scelta”. Perché in Libia si rischia di morire ogni giorno, così come durante la traversata del deserto che lì porta.

“Siamo tutti esseri umani. I bambini lo capiscono, perché gli adulti no?”

“Nessuno – sottolinea – lascia la propria casa senza validi motivi, nessuno mette a repentaglio la propria vita a cuor leggero”. Quando lo spiega ai bambini – e a Napoli capita spesso, tanto nelle scuole come durante le visite guidate – “lo capiscono subito”. Con gli adulti è più complesso, “eppure basterebbe partire dal presupposto che siamo tutti esseri umani”. E la citazione, è napoletanissima. “Lo spiegava anche Totò, in “A livella”.

In Italia sta ormai da dieci anni, lo dice l’accento che tradisce le nuove radici a Napoli, potrebbe già avviare le pratiche per la cittadinanza, “ma non sono ancora certo di volerlo fare. Qui mi sono formato, ci vivo, racconto a italiani e stranieri le bellezze di questa terra, eppure dovrei aspettare ancora quattro anni, con il rischio di perdere tutto se per caso non mi venisse rinnovato il contratto o l’affitto. Non so se ne vale la pena”. E anche lui potrebbe diventare un cervello in fuga, costretto dal Paese che lo ha formato a cercare un futuro altrove.

 

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