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Uccise la sorella Alice, per il killer Alberto Scagni definitiva la condanna di 24 anni e 6 mesi

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La condanna, ormai, è definitiva: anche per la Corte di Cassazione Alberto Scagni ha premeditato il delitto della sorella Alice. E dunque deve scontare 24 anni e 6 mesi per il delitto del primo maggio 2022. E’ il capitolo finale nel procedimento principale su questa tragedia familiare, ma non dell’intera vicenda.

Nel filone secondario, quello partito dalla denuncia dei genitori di vittima e assassino sui presunti allarmi inascoltati sulla pericolosità dell’assassino da parte di 112 e centro di salute mentale, dopo le archiviazioni a Genova nei prossimi mesi si pronuncerà la Corte Europea, che ha dichiarato il ricorso ammissibile.

genova processo alberto scagni 

Per quanto riguarda questo procedimento, invece, il percorso giudiziario è stato netto: la stessa pena in primo grado e in appello, ora confermata dai giudici romani. Non è scattato l’ergastolo perché i giudici hanno sempre preso in considerazione la perizia terza che ha descritto Scagni come semi-infermo di mente.

Cosa è successo il primo maggio 2022

Bisogna allora tornare alle motivazioni della sentenza di primo grado, davanti alla Corte di Assise, per comprendere come secondo la giustizia italiana sono andati i fatti: per i giudici Alberto Scagni dopo aver detto al padre Graziano «poco dopo le 13 che se non avesse trovato i soldi sul proprio conto corrente Alice e il marito avrebbero fatto una brutta fine … ha controllato via internet alle 13.35 se la somma gli fosse stata accreditata».

A quel punto, «constatato che ciò non s’era verificato, la ferita narcisistica che ne è scaturita dev’essere apparsa a Scagni così insopportabile da poter essere lenita soltanto con la plateale dimostrazione di essere un uomo “di conseguenza”, un uomo coerente con la grandiosità del suo ego e che si dimostri capace, perciò, di portare a compimento le minacce che proferisce».

Quindi per il killer sarebbe stato «indispensabile “dare una lezione” ai genitori dimostrando loro, una volta per tutte, “chi” fosse realmente loro figlio e come fosse capace di portare a compimento i suoi propositi. Che poi si sia trattato dell’omicidio della sorella, e non di un’impresa lavorativa o di altro genere, poco dev’essere interessato allo smisurato ego di Scagni, fiaccato da anni di frustrazione in ogni settore della vita sociale e, più di recente, messo spalle al muro da una carenza di mezzi economici che deve avere vissuto come realmente intollerabile, benché abbia contribuito non poco a realizzarla dissipando la pur consistente somma di denaro che gli era stata poco prima accreditata dai genitori: l’importante, ai suoi occhi, dev’essere stato reagire a quella situazione di assoluto impasse in cui la vita l’aveva confinato, realizzando un’azione “grandiosa” che valesse a recuperare la stima di sé che stava irreparabilmente perdendo e che, nel contempo, “punisse” i genitori per non essersi piegati ancora una volta al suo volere».

I genitori: “Vogliamo sapere dove e come abbiamo sbagliato”

Antonella Zarri e Graziano Scagni hanno sempre chiesto che agli accertamenti, oltre che su Alberto, venissero compiuti su 112 e Centro di Salute mentale. Dunque ora confidano nella giustizia europea: «Vogliamo sapere dove e come abbiamo sbagliato, cosa dovevamo fare di più, oltre a far fermare Alberto folle dal Csm, oltre a chiedere aiuto di ultima istanza al 112».

Il pestaggio in carcere

Quei 24 anni e 6 mesi Scagni ha iniziato a scontarli subito dopo il delitto: adesso è recluso nel carcere di Torino, dove era stato trasferito dopo un violento pestaggio subito nell’istituto penitenziario di Sanremo (era già successo a Genova) e il lungo ricovero in ospedale, con diversi giorni in rianimazione e in coma farmacologico.

 

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