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Simone Lenzi: “C’è una sinistra talebana e priva d’ironia ma così la destra non la mandiamo a casa”

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Simone Lenzi, 56 anni, livornese, è scrittore, musicista e, fino a venerdì scorso, assessore alla Cultura del Comune della sua città, amministrato dal centrosinistra. Da un suo libro, La generazione, Paolo Virzì ha tratto il film Tutti i santi giorni. La sua band, i Virginiana Miller, ha un solido seguito di cultori. Si è dimesso dalla carica perché un suo tweet, che commentava con parole forti un fumetto sul massacro del 7 ottobre, pubblicato dal Fatto quotidiano, ha innescato una faida politica. Poi sono stati riesumati vecchi tweet su questioni gender e la polemica si è estesa. In molti hanno lapidato Lenzi. In molti l’hanno difeso convintamente. Lui ha accettato di rispondere alle domande di Repubblica. Un’avvertenza: è un uomo mite e ironico, le sue risposte vanno lette immaginandole con un tono mai serioso e spesso chiuse da un sorriso, come quando reagisce alla eventualità di essere diventato il J.K. Rowling italiano, dato che la creatrice di Harry Potter, donna di sinistra, fa da anni i conti con le accuse di transfobia. «Io più modestamente – dice Lenzi – passerò alla storia come l’unico livornese, la città del Vernacoliere, condannato senza processo per due battute».

Simone Lenzi, l’assessore alla Cultura di Livorno costretto alle dimissioni dopo tweet transfobici, contro il Fatto e Canfora

di Matteo Pucciarelli

11 Ottobre 2024

Lenzi, lei prima ha detto che non si dimetteva, poi l’ha fatto. Cosa è successo?

«Semplice, il sindaco Salvetti mi ha chiesto di farlo».

Il M5S dice cose terribili di lei.

«Il partito nato dando della puttana a Rita Levi Montalcini? Maestri di bon ton».

Partiamo dai fatti, però.

«Di fatti non ce ne sono. C’è un mio tweet sulla striscia a fumetti di un giornale e da lì qualcuno è andato a ricercare dei miei vecchi tweet interpretati in modo, diciamo così, ingeneroso».

L’amaca

A proposito di un cartellino rosso

di Michele Serra

11 Ottobre 2024

Allora parliamo del tweet contro il fumetto di Natangelo pubblicato dal Fatto.

«Quella striscia è urtante di suo, ancora di più lo era averla vista pubblicizzare, prima di essere stampata, con il suo titolo: La favola del 7 ottobre. Come se 1200 morti fossero uno scherzo».

Lei ha scritto: “Brinderò a champagne alla chiusura del Fatto”.

«A meno che qualcuno creda al pensiero magico, non penso che questo desiderio comporti la chiusura del giornale».

Da Simone Lenzi a Piero Marrazzo, il tribunale della gogna morale

di Concita De Gregorio

13 Ottobre 2024

Descrizione del Fatto: “Laboratorio di abiezione morale, allevamento di trogloditi, verminaio del nulla”.

«Sicuramente un po’ forte, ma la forma mi sembrava anche piuttosto elegante. Continuo a desiderare che quel giornale lo leggano meno persone possibile, perché è fondato sulla Schadenfreude, la gioia per le disgrazie altrui, come la bava alla bocca quando arrestano qualcuno. Sono diverso, amo la benevolenza».

Non con lo storico Luciano Canfora, definito “pezzo di merda” per le sue posizioni filo putiniane.

«Sono passionale e molto reattivo, ho scritto quel tweet dopo aver letto che Canfora era infastidito dalle “Irina che perdono il bambino”, cioè dalle storie dei profughi ucraini bombardati dai russi. Una frase di un cinismo, di una trombonaggine… anche un tantino stalinista».

Frase orribile, in effetti. Poi è cominciata la caccia ad altri suoi vecchi tweet. Uno commenta con sarcasmo una statua femminile con il pene esposta alla Biennale.

«Mi dava fastidio che fosse un pezzo d’arte didascalico, infatti sotto c’è proprio una didascalia. Detesto l’arte che ti dice quello che devi pensare”.

In un altro tweet, commentando una tabella che identificava 22 diverse identità di genere sessuale, si rallegrava di essere vecchio.

«Si può essere di sinistra e pensare che non esistano 22 generi sessuali? Trovo questa ansia tassonomica un po’ inquietante. Comunque nell’elenco mancavo proprio io, che sono Gender Ironic, forse per questo mi hanno discriminato?».

L’accusa è infamante: transfobia.

«Certo che è infamante. Detesto ogni genere di fobia. Non ho paura di nulla e soprattutto di chi esprime la piena libertà di determinarsi come meglio crede».

Qualcuno dice che, con il ddl Zan legge, lei sarebbe finito sotto indagine.

«Sa che ci ho pensato pure io?».

C’è una sinistra che mal tollera la libertà di pensiero?

«La sinistra da cui vengo era basata su grandi principi universalistici, oggi sostituiti da una specie di tribalismo fondato sul paradigma vittimistico. Dico, con il cuore sanguinante, che quello che muove davvero un pezzo di sinistra è un narcisismo etico, avere sempre la casacca dei buoni e giusti senza nemmeno interrogarsi se poi lo siamo davvero. Talvolta sembra all’opera quasi una psico-polizia, che giudica le intenzioni con la pretesa di entrare nei più nascosti meandri del pensiero. Una roba un po’ talebana, che da una parte uccide l’ironia e dall’altra dà la certezza che la destra non si manderà a casa, mai».

Virzì ha scritto una lettera al Tirreno per difenderla dalla “piccineria” delle accuse e ha citato la lezione di Scola, Age e Scarpelli e altri.

«Aggiungerei Virzì. Il tratto davvero unico della egemonia culturale della sinistra era la capacità di prendersi in giro per i propri tic, le fissazioni, i dogmi».

Ma se c’è la psico-polizia, perché si è scusato?

«Sono sempre pronto a scusarmi se qualcosa che dico fa male a qualcuno. In più comprendevo di aver messo in difficoltà la mia giunta. Mi ha ferito la scelta del sindaco di avallare la mia lapidazione».

Lascerà i social, come aveva annunciato?

«Magari tra un po’, sì. Ma, social a parte, non dobbiamo essere pavidi, bisogna dire quello che si pensa, sennò cos’altro ci resta?».

Quindi rifarebbe il tweet che ha innescato tutto?

«Visto che ora sono disoccupato, no».

 

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