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Morì nel 2020 per le conseguenze del Covid-19 e il decesso è stato riconosciuto come infortunio mortale sul lavoro. Lo ha deciso il tribunale di Parma, accogliendo il ricorso di un addetto alla macelleria in un punto vendita e condannando l’Inail, che aveva rigettato la domanda, a corrispondere il relativo trattamento economico a favore degli eredi. A darne notizia è la Cgil che ha seguito la vicenda con il patronato Inca: funzionari e medici legali hanno ricostruito la vicenda e il giudice Ilaria Zampieri ha riconosciuto il nesso causale tra l’infezione e il lavoro.
Il tribunale ha infatti nominato un consulente tecnico che ha concluso ritenendo maggiormente probabile il fatto che il macellaio avesse contratto il virus in ambito lavorativo. La distanza di un metro, che c’era tra l’area in cui lavorava e i clienti, non è ritenuta sufficiente, tenendo conto che si trattava di un ambiente chiuso e che i droplets, le goccioline respiratorie, possono arrivare fino a otto metri. La distanza, che peraltro si riduceva nelle operazioni di cassa, non poteva dunque rappresentare una garanzia di sicurezza e le barriere di plexiglass sono state installate solo successivamente. La Cgil di Parma riferisce anche di un secondo caso, una domanda di inabilità per un lavoratore respinta e arrivata alla moglie due giorni dopo il suo decesso.
Per ottenere il riconoscimento la vedova ha dovuto promuovere ricorso attraverso il Patronato Inca, corredandolo con le relazioni medico legali e solo dopo questo passaggio l’Inps ha deciso di accogliere postuma la domanda di inabilità e riconoscerne i benefici agli eredi senza attendere la sentenza. “Queste due storie, dolorose, sono la manifestazione più clamorosa e tangibile di un lavoro quotidiano fatto dalle capaci funzionarie e funzionari Inca, dai suoi medici e legali convenzionati, che ha come tenace obiettivo l’emersione dei diritti – commenta Luca Ferrari direttore Inca Cgil di Parma. Purtroppo ci scontriamo ancora spesso con Inail e Inps sui riconoscimenti medico legali perché da una parte (Inail) viene spesso contrapposta la mancanza di nesso causale tra patologie o infortuni e attività lavorativa (in particolare per le infezioni da Covid e per lo stress lavoro correlato) e dall’altra (Inps) si porta troppo spesso al contenzioso il cittadino, allungando i tempi dei riconoscimenti e aumentando i costi per la società legati alle attività dei tribunali, per poi riconoscere quanto negato prima a ridosso delle sentenze”.