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Immunoterapia nel melanoma: i batteri intestinali ne predicono l’efficacia

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Un team di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), guidato dal Dr. Luigi Nezi, ha scoperto che la composizione del microbiota intestinale può essere determinante nella risposta all’immunoterapia per il melanoma avanzato. I risultati dello studio, pubblicati su Cell Host and Microbe, potrebbero trasformare l’approccio ai trattamenti, permettendo di prevedere, con un test su cellule del sangue, quali pazienti affetti da melanoma avanzato risponderanno efficacemente all’immunoterapia, aprendo la strada allo sviluppo di un possibile vaccino terapeutico.

Il legame tra microbiota intestinale e risposta immunitaria è noto da tempo, ma questo studio fornisce una spiegazione più dettagliata del “come” e “perché” dell’interazione. La Dr.ssa Angeli D.G. Macandog, primo autore dello studio, spiega: “I nuovi risultati dimostrano che i pazienti con una risposta clinica completa hanno una composizione del microbiota intestinale unica, che varia poco durante l’immunoterapia e stabilizza alcuni batteri”. Questi batteri, appartenenti in gran parte alla classe dei Clostridia, sono importanti per il metabolismo delle fibre alimentari, essenziali per la salute intestinale e per le funzioni dei linfociti.

Lo studio ha inoltre rilevato che il microbiota intestinale dei pazienti responsivi all’immunoterapia presenta geni batterici in grado di sintetizzare peptidi simili agli antigeni tumorali. Questa similitudine permette ai linfociti, addestrati contro i peptidi batterici, di riconoscere e attaccare anche le cellule tumorali del melanoma. Il Dr. Nezi aggiunge: “Scoprire che alcuni di questi batteri esprimono antigeni dall’aspetto identico a quelli tumorali ci fa pensare che nel nostro intestino esista una vera e propria biblioteca di peptidi che, all’occorrenza, potrebbe favorire il nostro sistema immunitario nel combattere il tumore in modo mirato ed efficace”.

Questo studio potrebbe consentire a breve l’introduzione di uno screening dei pazienti tramite test ematici che ricerchino linfociti capaci di riconoscere peptidi batterici simili a quelli del melanoma. “La possibilità di avere a disposizione marcatori che predicono la risposta a un trattamento – afferma il Dr. Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento Melanoma e Immunoterapia dell’INT “Fondazione Pascale” – è fondamentale per selezionare i pazienti che possono realmente trarne beneficio, evitando costi inutili e possibili effetti collaterali per chi non risponderebbe alla terapia”.

Quanto emerso da questo studio apre alla possibilità di sviluppare trattamenti personalizzati, includendo, secondo Nezi, “semplici mix di peptidi” che potrebbero potenziare l’immunoterapia o funzionare come un vaccino in grado di “educare il sistema immunitario a riconoscere il tumore”. L’utilizzo di questa strategia potrebbe estendere l’efficacia dell’immunoterapia a più pazienti e migliorare il controllo del melanoma, contribuendo a una medicina oncologica sempre più mirata e meno invasiva.

 

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