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A Valencia anche i soccorritori di Open Arms: “Sembra una guerra. Svuotiamo dal fango cantine e garage, è lì che vanno cercati i corpi”

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“È la cosa più vicina all’inferno che abbia mai visto”. Con la ong Open Arms, David Llado è stato più volte in mare, ha assistito e ha affrontato naufragi, ma da quando è arrivato a Valencia sembra faticare a trovare le parole per descrivere quello che vede. “Sembra una guerra”. Dopo il ponte marittimo con Gaza, le missioni in Ucraina, quelle regolari in mare su Astral e sulla Open, l’ong spagnola fondata da Oscar Camps “sbarca” a Valencia. Le prime squadre sono arrivate giovedì scorso, a qualche ora dall’ondata di fango e acqua che ha cancellato intere contrade.

Parla mentre sulla provincia scende la sera, lui e gli altri del team di Open Arms hanno appena posato vanghe e attrezzatura, dopo una giornata passata a svuotare garage e scantinati pieni di acqua e fango. “Stiamo lavorando con i vigili del fuoco, sono loro ogni giorno a dirci dove bisogna intervenire”. Attorno a Valencia c’è una distesa di paesini e sobborghi che sono stati completamente invasi da acqua, fango, detriti.

“Alcune case rurali o piccoli borghi – spiega – sono stati totalmente cancellati. In un’area che è pari a quella di una grande città non c’è auto, casa, negozio, o struttura che non sia stata distrutta”. Lo scenario, racconta, è surreale. “Hai mai visto cinque auto una sopra l’altra, tutte accartocciate?”.

Valencia, l’incubo dei dispersi. Sono ancora duemila e non si sa neanche dove cercarli

dal nostro inviato Giampaolo Visetti

04 Novembre 2024

L’emergenza vera sta in tutti i locali interrati: parcheggi, cantine, garage. Che oggi rischiano di essere tombe. “Ci sono troppi dispersi, sappiamo che probabilmente è lì che tocca cercare i corpi”. In mare David Llado ne ha visti. Tanti, troppi.

“Siamo preparati all’ipotesi. È importante trovarli, dare loro un nome. È necessario per le famiglie che li stanno cercando”. Chi non sa, non ha un corpo da piangere o seppellire, rimane ancorato a un lutto infinito impossibile da elaborare, a un filo di speranza che non si spezza. Anche contro ogni logica. Mare e naufragi, su questo fin troppo insegnano. Così come spiegano quanto sia importante avere la possibilità di comunicare ai più prossimi: “Sono vivo”.

“Nei primi giorni – spiega Llado – le linee erano completamente andate, c’è voluto tempo perché le ripristinassero. Abbiamo portato qui alcuni satellitari per permettere alle persone bloccate nelle zone più isolate di comunicare con amici e parenti”. Non bastano le ore per fare tutto. “La mattina la sveglia suona alle 5, bisogna preparare mezzi e attrezzature ed essere pronti al centro di coordinamento per le sette. Bisogna approfittare di tutte le ore di luce”, spiega. Ma ci vorranno comunque settimane solo per svuotare tutti i locali allagati o invasi dal fango. Con il passare dei giorni, diventa sempre più difficile perché si secca, diventa cemento, è ancora più complicato da rimuovere. E il ritorno a una certa forma di normalità? Anche a distanza si sente David Llado allargare le braccia. “Inutile fare previsioni, nessuna sarebbe attendibile. Continuiamo a lavorare”.

 

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