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Il fisioterapista? L’alleato perfetto per venire a capo di mal di testa, mal di schiena, “storte” alle caviglie o dolorose tendiniti al ginocchio o alla cuffia dei rotatori. Sulla sua figura professionale investiamo molto, a volte anche più dell’ortopedico o del fisiatra che ci ha visitato e, magari, persino operato o prescritto un ciclo di onde d’urto o infiltrazioni di acido ialuronico.
In cuor nostro sappiamo, infatti, che non c’è trattamento medico che funzioni senza un progetto di riabilitazione funzionale che ci rieduchi a compiere tutti quei movimenti che facevamo prima che la nostra schiena o la nostra spalla iniziassero a lamentarsi. Ma a quale fisioterapista affidarsi? Ne parliamo con un fisioterapista specializzato in fisioterapia muscoloscheletrica, una disciplina che ha una marcia in più rispetto alla “fisio” tradizionale, perché si basa su un approccio olistico. Un metodo innovativo che tiene anche conto dei risvolti psicologici che ogni trauma o disagio fisico comporta. La parola al dottor Mattia Bisconti, esperto in fisioterapia muscoloscheletrica a Roma.
Che cos’è la fisioterapia muscoloscheletrica?
È il frutto di un percorso formativo che prevede, dopo la laurea in fisioterapia, un master di primo livello in una delle otto università italiane che prevedono questa specializzazione. La legge 43 el 2006, infatti, ha ufficialmente sancito le diverse branche della fisioterapia: pediatrica, neurologica, cardiorespiratoria, dello sport e delle discipline artistiche e altre ancora.
Come un medico può seguire una specialità, se non vuole restare “generico”, così un fisioterapista può specializzarsi nel trattamento e nella riabilitazione neuromuscolare. Personalmente ho seguito un master di due anni perché attratto dalle infinite possibilità di questa disciplina, che deriva dalla Terapia Manuale Ortopedica ideata dal medico inglese James Henry Cyriax. Lavorando al St Thomas’Hospital di Londra, mise a punto una vasta gamma di interventi e tecniche per il trattamento delle lesioni muscolo-scheletriche.
Che tipo di disturbi cura la fisioterapia muscoloscheletrica?
Tutte le forme di mal di schiena, dalla cervicalgia alla lombalgia alla dorsalgia, il mal di testa cronico o recidivante (non solo la cefalea muscolo-tensiva ma anche l’emicrania), l’artrosi dell’anca, della spalla, del gomito e del ginocchio, tutte le tendinopatie, che si tratti del tendine di Achille o del “gomito del tennista”, le contratture e rigidità muscolari legate a processi infiammatori, i dolori e le disfunzioni post-traumatiche o post-intervento chirurgico.
Circa alluce valgo e dita a martello, tormentone di molte donne, una fisioterapia muscoloscheletrica eseguita da mani esperte riesce, a volte, a evitare l’intervento perché si lavora molto sulla flessibilità delle dita, prescrivendo anche degli ausili chiamati ortesi ortopediche: piccoli dispositivi che hanno il compito di tenere in linea l’alluce e di distanziare le dita dei piedi. Va precisato che molte persone pensano ancora che il fisioterapista sia un mero esecutore di un piano riabilitativo prescitto dall’ortopedico. In realtà, può agire in autonomia, prescrivendo il trattamento che ritiene più indicato, sulla base della diagnosi e degli esami diagnostici che restano comunque di competenza medica.
Prima di iniziare le sedute di fisioterapia muscoloscheletrica, è importante fare un’accurata anamnesi del paziente, chiedergli come si sente e che limitazioni incontra nel svolgere le mansioni quotidiane come lavarsi, portare i sacchetti della spesa, piegarsi a raccogliere qualcosa o spingere una valigia in alto nel ripostiglio. Gli viene dato anche un questionario autovalutativo che gli consente di riferire con precisione al fisioterapista che impatto ha il suo dolore articolare o muscolare nella vita quotidiana. Dal canto suo, prima di iniziare, occorre capire se ci sono delle controindicazioni al trattamento. Se, ad esempio, noto un’area arrossata, dolente al tatto ed edematosa, rimando il paziente al medico per accertare che non abbia una microfrattura.
In che cosa si differenzia dalla fisioterapia classica?
Sia per l’approccio, che è molto accurato e globale, sia per le tecniche avanzate di manipolazione e di esercizio che vengono adottate. Per esempio, la fisioterapia muscoloscheletrica prevede delle manipolazioni peculiari chiamate HVLA (Hight Velocity Law Amplitude), che generano un suono simile allo schiocco delle dita, il cosiddetto popping sound. Se, ad esempio, arriva una paziente con il collo completamente rigido, incapace di ruotarlo a destra e a sinistra, la faccio distendere sul lettino e glielo blocco inclinato in una certa direzione (locking). Quindi, con le due mani le imprimo una pressione veloce e decisa, che fa compiere un piccolo movimento al collo producendo il caratteristico suono delle articolazioni e dei muscoli quando vengono “liberati” da contratture opprimenti. Questa manovra aiuta a ridurre il dolore e il paziente si sente subito più sciolto. Certo, qualcuno obietterà che anche gli osteopati, con le loro manipolazioni, generano il popping sound. Ma il “concept” alla base è diverso. Il nostro obiettivo è riconoscere l’influenza neurofisiologica sul nostro apparato muscolo-scheletrico, cercare di “dialogare”con il sistema nervoso. Se il cervello e i nervi percepiscono la manipolazione, mandano ai muscoli il messaggio di rilassarsi.
Altre tecniche utilizzate nella fisioterapia muscoloscheletrica?
Le cosiddette Muscle Energy Techniques, manovre di “reclutamento e rilassamento muscolare”, che rendono il paziente non un oggetto passivo nelle mani del fisioterapista ma protagonista attivo del suo percorso di guarigione. Per esempio, la cervicalgia (la terribile “cervicale”) comporta sempre un’ipercontrattura dei muscoli sternocleidomastoidei. Per riuscire a rilasciarli, si chiede al paziente di compiere dei movimenti, inizialmente di un’ampiezza molto ridotta, in varie direzioni. Si procede step by step, senza fretta né forzature. Se il paziente avverte dolore da un lato, il fisioterapista posizionerà le mani in quello opposto massaggiando e premendo dolcemente in modo da determinare un allungamento muscolare. Così, grazie alla fase di reclutamento seguita da quella di rilassamento, le tensioni a poco a poco si sciolgono e la soglia del dolore si innalza.
Mi risulta che anche l’approccio psicologico abbia un certo peso…
Esatto. Noi pratichiamo la cosiddetta PIPT, acronimo di Psychologically Informed Physiotherapy (fisioterapia psicologicamente informata). Ideata nel 2019 da Zachary Stearns, del dipartimento di Fisioterapia e Terapia Occupazionale della Duke University (Carolina del Nord), introduce la gestione degli aspetti psicologici e sociali nel percorso di cura. Prevede non solo l’esercizio terapeutico ma anche l’educazione del paziente, tramite un colloquio motivazionale e il ricorso a tecniche cognitivo-funzionali tese a fargli superare le sue paure. Nel problema che porta, infatti, c’è sempre una componente mentale, dettata dalla paura di provare dolore che lo autolimita nei movimenti e nelle azioni quotidiane. A volte accade che in poche sedute, il collo, la spalla o il ginocchio si sblocchino, ma resta il timore di scivolare di nuovo in uno stato di sofferenza. Se, ad esempio, una persona ha mal di schiena e perciò non si abbassa ad allarciarsi le stringhe o a raccogliere qualcosa da terra, occorre sì agire con degli esercizi attivi di rinforzo muscolare (quasi sempre il quadrato dei lombi, gli addominali e i muscoli glutei sono ipotonici), ma anche aiutarlo a ritrovare la fiducia in sé stesso, a superare quei limiti psicologici che la sua mente gli impone: “non riesco a piegarmi”, “non sono capace di…” In questo senso la compilazione del questionario Orebro, che viene eseguita ogni seduta, ci aiuta molto. Comprende domande tipo “quante volte hai evitato di uscire questa settimana per il mal di schiena?” “Quante di guidare o di flettere il busto”? Bisogna, insomma sondare, il vissuto emozionale del paziente per scegliere la strategia più adatta e confezionare una terapia “tailor made”, strettamente personalizzata.
Ci può fare un esempio concreto?
Ho avuto una paziente che soffriva di lombosciatalgia, non dovuta a un’ernia o una patologia discale, ma a una compressione del nervo sciatico di tipo infiammatorio. Era arrivata a pagare una dog-sitter che le portasse fuori il cane, perché era convinta di non riuscire più a farlo lei. Per prima cosa le ho praticato delle tecniche manuali di mobilizzazione del nervo sciatico, in tutto il suo decorso, dai glutei ai piedi. Ma poi dovevo darle un’ “iniezione” di fiducia tesa farle comprendere che lei era ancora in grado di occuparsi del cane. Doveva agire le sue paure, provare a superarle con l’azione. Così le ho dato in mano una lunga banda elastica alla cui estremità era legata una palla medica di un peso progressivamente crescente: prima 2 kg, poi 5, poi 10 fino a 15 kg, il peso presunto del suo cane. Doveva trascinare la palla medica in giro per lo studio. A mano che il peso aumentava e lei riusciva a trascinarlo senza fatica, riprendeva fiducia nelle proprie capacità. Queste e altre psicotecniche mirano a “ristrutturare” i pensieri, a modificare le false credenze e le idee negative che alimentiamo su noi stessi. Cambia la percezione del proprio corpo e delle proprie capacità di movimento, se un esperto ci aiuta a farlo.
STOP AI DOLORI CON L’AGOPUNTURA
Le disfunzioni dolorose che colpiscono vari distretti corporei migliorano sensibilmente con l’agopuntura, l’antica pratica della medicina tradizionale cinese che prevede l’infissione di sottilissimi aghi in punti specifici, situati lungo i meridiani (canali energetici). «Già dalla prima seduta, si sperimenta un effetto antalgico potente, dovuto al rilascio di endorfine, encefaline e dinorfine, gli oppiodi endogeni prodotti dal nostro corpo», puntualizza il dottor Giovanni Battista Allais, responsabile del Servizio di Agopuntura in Ginecologia e del Centro Cefalee della Donna dell’Ospedale Sant’Anna di Torino. «Azione antidolorifica a parte, l’agopuntura serve a rilassare tutta la muscolatura, ad alzare il livello di energia vitale e a riequilibrare le funzioni fisiologiche dell’organismo. A questo scopo vengono stimolati sia dei punti localizzati nella sede da trattare, sia adiacenti, sia distanti. In caso di cefalea, per esempio, si applicano alcuni aghetti sui piedi».
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