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A circa due ore dalla conclusione di un pasto, che sia una colazione abbondante, il pranzo o la cena, i livelli di glucosio nel sangue registrano i picchi massimi della giornata. Questo fenomeno, definito iperglicemia post-prandiale, è assolutamente normale entro certi limiti ed è legato all’assunzione e alla successiva digestione dei carboidrati.
Negli individui sani, che non presentano problemi di diabete, i livelli di glicemia superano raramente i 140 mg/dl e ritornano ai valori basali entro 3-5 ore dalla fine dei pasti. Può succedere, però, che l’impennata sia maggiore.
Chi interessa l’iperglicemia post-prandiale
«L’iperglicemia post-prandiale che supera i 140 mg/dl caratterizza non solo i pazienti affetti da diabete tipo 2, ma anche i soggetti pre-diabetici», commenta la dottoressa Giulia Cogni, specialista in Endocrinologia presso l’IRCCS Maugeri di Pavia. «Il pre-diabete è una condizione dove i livelli di zucchero nel sangue sono più alti del normale, ma non abbastanza elevati da porre una diagnosi di diabete di tipo 2. È quel momento delicato in cui c’è ancora la possibilità di invertire la rotta, evitando di evolvere nella patologia conclamata o per lo meno ritardandola di qualche anno».
Tenendo conto che i valori di glicemia a digiuno sono considerati normali fino a 99 mg/dl, mentre la diagnosi di diabete arriva sopra i 125 mg/dl, il pre-diabete si colloca nella fascia intermedia.
Quali sono le cause dell’iperglicemia post-prandiale
L’iperglicemia post-prandiale è causata da un progressivo declino della produzione e dell’azione biologica dell’insulina sulle cellule periferiche, chiamata insulino-resistenza, e dal deterioramento della funzionalità delle cellule β pancreatiche, quelle che producono l’insulina, con una conseguente riduzione della sua secrezione.
«L’insulina ha il ruolo chiave di trasportare il glucosio, la nostra fonte primaria di energia, all’interno delle cellule», descrive la dottoressa Cogni. «La sua carenza o il suo malfunzionamento causano, quindi, l’aumento della glicemia in circolo e lo scorretto approvvigionamento di zuccheri alle cellule».
Va detto, però, che la presenza e l’entità dell’iperglicemia post-prandiale non dipendono solamente da fattori ormonali, ma anche da altri elementi: «Tra questi svolge un ruolo chiave la tipologia degli alimenti consumati durante il pasto: il suo contenuto di carboidrati e il loro indice glicemico, la quantità di cibo e il tempo in cui viene consumato, la presenza o meno degli altri macronutrienti, come grassi, proteine e soprattutto fibre».
Sul fatto poi che alcune persone assorbono più rapidamente e in maggiore quantità gli zuccheri dei pasti, un’ulteriore spiegazione scientifica potrebbe risiedere nell’esuberanza dell’SGLT-1, il principale responsabile dell’assorbimento intestinale di glucosio. In sostanza, sulle pareti delle nostre cellule si trovano delle “porte” speciali che consentono al glucosio di entrare: per attraversare la membrana cellulare, lo zucchero ha bisogno di specifici trasportatori (come SGLT-1, appunto), che non devono però esagerare con la loro operosità.
Quali sono i sintomi dell’iperglicemia post-prandiale
In genere, l’iperglicemia post-prandiale dà segni di sé solo quando supera i 180-200 mg/dl e, soprattutto, se questo accade in maniera prolungata.
«I sintomi più caratteristici sono la poliuria, la polidipsia e la polifagia, cioè rispettivamente l’aumento della quantità di urina emessa durante la giornata, della sete e della fame», evidenzia l’esperta.
«Altri sintomi comuni sono la perdita di peso che in questo caso coinvolge sia la massa grassa sia la massa magra e pertanto non è salutare, ma anche la riduzione della vista, l’affaticabilità, la sonnolenza, nausea e vomito, segni di disidratazione a livello di cute e mucose, le infezioni genitali e delle vie urinarie favorite dalla perdita di zucchero con le urine e l’alito acetonemico, caratterizzato da un odore di frutta matura. Nei casi più gravi, si può arrivare al coma iperglicemico e addirittura alla morte».
Quali sono i pericoli dell’iperglicemia post-prandiale
L’iperglicemia post-prandiale causa stress ossidativo, infiammazione e disfunzione dell’endotelio, il tessuto che riveste l’interno del cuore e di tutti i vasi. Non a caso, questa condizione è notoriamente riconosciuta come un fattore di rischio cardiovascolare anche per i soggetti non diabetici e finisce con il provocare danni a vasi sanguigni, nervi, occhi e reni, predisponendo a ipertensione, aterosclerosi, infarti, ictus, neuropatie periferiche, retinopatie o nefropatie.
«A riprova di questo, spesso il paziente presenta già complicanze cardiovascolari al momento della diagnosi di diabete», tiene a evidenziare la dottoressa Cogni. «Pertanto, è importante identificare il prima possibile i pazienti affetti da un’alterata tolleranza glucidica per trattarli precocemente».
Come si diagnostica l’iperglicemia post-prandiale
Per arrivare a una diagnosi di iperglicemia post-prandiale si può ricorrere al Test da carico orale di glucosio (OGTT), che serve a valutare la capacità del paziente di tollerare una quantità standard di glucosio somministrata (75 grammi in 250-300 ml di acqua).
Chi deve sottoporsi a questo esame? Chi presenta fattori di rischio importanti per il diabete, come le persone con obesità, le donne con una storia di diabete gestazionale, i familiari di pazienti con diabete di tipo 2 e chi presenta un’alterata glicemia a digiuno, compresa tra 100 e 125 mg/dl.
«Fanno porre una diagnosi di ridotta tolleranza ai carboidrati valori compresi tra 140 e 199 mg/dl dopo 120 minuti dal carico orale di glucosio, mentre un risultato uguale o superiore a 200 mg/dl è diagnostico per il diabete», riferisce l’esperta. «In caso poi di diabete conclamato, il medico valuterà in base all’età del paziente, alle condizioni cliniche generali, alle patologie associate e ai valori di glicemia pre e post-prandiali la necessità di avviare una terapia farmacologica».
Come si cura l’iperglicemia post-prandiale
Per trattare l’iperglicemia post-prandiale, sono necessarie delle modifiche allo stile di vita, eventualmente da associare a una terapia farmacologica specifica.
«Al paziente va consigliato di ridurre il consumo di carboidrati, incrementando la quota di fibre solubili ad ogni pasto, anche a colazione, riducendo le porzioni del pasto serale e ricordando che patate e legumi contengono carboidrati», precisa la dottoressa Cogni.
Molto utile è anche l’attività fisica, come una breve passeggiata dopo i pasti. A dimostrarlo è un lavoro effettuato da un gruppo di ricercatori neozelandesi e pubblicato nel 2016 sulla prestigiosa rivista Diabetologia: pare che sgranchirsi le gambe per 10 minuti dopo ogni pasto consenta di ottenere valori di glicemia post-prandiale del 15% inferiori. Risultato che appare ancora più elevato dopo cena, quando una passeggiata di dieci minuti può abbassare anche del 30-35% i valori glicemici.
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