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Hanno chiesto il patteggiamento o la giustizia riparativa tre dei quattro imputati legati a CasaPound, sotto inchiesta per il pestaggio di Roberto Tarallo. L’insegnante di fotografia di 44 anni fu aggredito con calci e pugni, fino a rischiare di morire, a ottobre di un anno fa al Vomero perché indossava sul giubbotto una spilla con la scritta “io sono antifascista”.
Ieri si è tenuta la prima udienza preliminare. Il giudice ha rimandato tutto a metà dicembre proprio per la richiesta dei riti alternativi, per ora formulata chiaramente soltanto dal legale di uno degli imputati, Paolo Primerano, romano, vicino alla sezione “Berta”.
Non hanno ancora scelto, invece, i fratelli Acuto, Vittorio e Roberto, quest’ultimo segretario cittadino di CasaPound, entrambi legati a gruppi ultras. Avrà invece il processo ordinario il quarto imputato, Taras Buha, ucraino, impiegato presso il consolato: il suo avvocato sostiene che non era presente.
Gli imputati sono ai domiciliari dopo gli arresti effettuati a gennaio scorso. Il Comune di Napoli e l’Anpi, attraverso l’avvocato Maria Giorgia de Gennaro, si sono costituiti parte civile insieme con Tarallo, patrocinato dall’avvocato Elena Coccia: «Ha rischiato di perdere un occhio: ancora oggi ha un residuo di trauma cranico e dovrà essere operato», ricorda. L’aggressione e le fasi precedenti sono documentate da immagini di videosorveglianza e da testimoni oculari. Secondo la ricostruzione avallata dagli inquirenti, Tarallo fu adocchiato in un pub mentre era a cena con due amici e poi fu seguito fino al pestaggio avvenuto in un luogo isolato, le scale Torrione San Martino. La vittima sarebbe stata anche minacciata con un coltello. Il pm contesta le aggravanti di discriminazione politica, «finalità del movimento neofascista CasaPound perseguita tramite azioni squadristiche volte a colpire con violenza gli avversari politici, anche per futili motivi».