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Ucraina, i ragazzi rifugiati a Bari fanno Dad con i professori a Kiev: “Quando suonano le sirene finisce la lezione”

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Tre computer portatili sul lungo tavolo, nel salone. Yeva, quindicenne, è concentrata: sta seguendo una lezione sulle derivate e la professoressa la sta interrogando. Masha, 11 anni, studia geografia con le dispense online, mentre suo fratello Pavlo, sedicenne, ricopia alcuni appunti. Sono a Bari, in un appartamento del centro, dove una famiglia li ha accolti dopo essere fuggiti dall’Ucraina. Fanno didattica a distanza. Con Kiev.

Una situazione di apparente normalità, a vederla così. Quella normalità alla quale i ragazzi sono stati abituati in questi due anni di pandemia. Ma adesso è diverso. Quando Pavlo spiega perché il suo schermo sia spento, però, si viene catapultati nel dramma: “Il mio professore di storia, che si trova a Kiev, aveva iniziato a spiegare. Poi le sirene hanno cominciato a suonare ed è dovuto andar via per correre nel rifugio. Capita spesso”. Perché quasi tutti i loro professori sono rimasti in Ucraina, molti a Kiev, e continuano imperterriti a insegnare. Nonostante la maggior parte dei loro alunni si trovino ora in Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Irlanda. Qualcuno persino negli Stati Uniti. Ma si rivedono lì, ogni mattina, su Skype. Siedono sugli stessi banchi di sempre, seppur virtuali. La classe resta unita, nonostante le bombe, la distruzione, la lontananza. “Abbiamo dovuto lasciare il nostro Paese – raccontano i ragazzi – ma una volta in Italia abbiamo capito che bisogna andare avanti. E ce lo hanno detto anche i nostri docenti: “Colleghiamoci e riprendiamo la vita quotidiana””. I tre ragazzi, con i loro familiari – otto in totale – sono stati accolti a Bari da Antonello e sua moglie Yuliya, ucraina: Yeva è la figlia di una sua amica d’infanzia e Pavlo e Masha sono invece i figli di sua sorella.

Ucraina, a Bari accoglienza formato famiglia: “A casa mia otto profughi e dico a tutti di aiutare se ci sono le possibilità”

di
Gennaro Totorizzo

12 Marzo 2022

Vivevano tutti a Kiev. E nella fuga sono riusciti a mettere in valigia i portatili, con i quali già facevano lezione nelle fasi più acute della pandemia. Come in pratica accade in Italia. “Per questo, spostarle online durante la guerra è stato semplice – racconta Yeva, al penultimo anno di liceo linguistico – è stato il ministero dell’Istruzione ucraino a chiedere alle scuole di avviare la didattica a distanza in questa fase. E noi siamo contenti: in questo modo ci sentiamo più vicini ai nostri compagni di classe lontani. Per rivederli siamo anche disposti a studiare”. Sorride.

Nella classe di Pavlo, anche lui al penultimo anno del liceo, si collegano ogni giorno circa la metà degli alunni. Sparsi per il mondo. Alcuni non riescono a partecipare per il fuso orario, altri sono in case senza wi-fi. “Le lezioni online mi tranquillizzano – fa notare Yeva – Non sapere dove siano i miei compagni e i professori mi preoccupa molto, ma quando si connettono e vedo che sono vivi e stanno bene, sono più serena. E così mi sento a casa”. Ogni mattina, per circa tre o quattro ore, i ragazzi aprono il portatile, aspettano il link dal docente che in quel momento è disponibile e cominciano la lezione. “Nonostante le difficoltà, affrontiamo nuovi argomenti e andiamo avanti con il programma”. Pavlo intanto pensa al futuro. Ed è risoluto: “Vorrei iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza e dare un mio contributo per la crescita dell’Ucraina, per cambiare in meglio il mio Paese e farlo avvicinare sempre più a una democrazia europea”

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