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dal nostro inviato
fonteno(bergamo) — «Eravamo molto preoccupati di trovarla morta o comunque gravissima». Rino Bregani, medico del policlinico di Milano e volontario del Corpo nazionale soccorso alpino, assieme alla collega Silvia Ramundo e all’infermiera Elena Landoni, è il primo operatore sanitario ad aver visitato Ottavia Piana.
Quanto tempo siete stati con lei?
«Siamo entrati alle 2 del mattino di domenica fino alle 2 di lunedì. Siamo arrivati da lei dopo 7-8 ore, perché la grotta per noi era sconosciuta. È stato difficile e lungo».
Come sta la speleologa?
«Ha molti traumi in più punti del corpo. Ma senza radiografie si possono fare solo ipotesi. Ha una frattura di alcune ossa del volto, ha perso sangue dal naso. A livello celebrale ha avuto una commozione, ha perso coscienza 2-3 volte: anche questa è una situazione che può fermarsi o evolvere in maniera grave. Ma la mia valutazione è che il quadro neurologico al momento è perfetto. Ha un trauma costale molto importante, anche in quel caso le complicazioni possono avere esiti fatali. Alle gambe, un trauma vertebrale multiplo, non ci sono segni di frattura ma fa molto male. È possibile qualche lesione alle vertebre, una lesione al ginocchio sinistro e pure il destro le fa male. L’allerta medica è massima».
I momenti più difficili?
«Tanti. Quando alle 10 di sera mi hanno chiamato per partire… Quando abbiamo visto quante ore ci volevano per arrivare. E poi ci siamo preparati a vederla con una serie di informazioni drammatiche che ci facevano pensare: rischiamo di non trovarla più viva».
Anche dal punto di vista emotivo non deve essere stato semplice.
«Eravamo molto preoccupati di trovarla morta o comunque gravissima. Senza sala operatoria, senza una tac, se c’è un polmone collassato devi piantare degli aghi un po’ alla cieca. Tutto quello che è gravissimo, in grotta non si può curare. Puoi fare ipotesi, ma pochi trattamenti».
Tutto ciò con le difficoltà di una grotta.
«Fango, sudore se ti muovi, gelo se ti fermi. Seduti sempre sul bagnato. Un ambiente estremamente ostile: sospesi a 50 metri sulle corde e i crampi alle gambe; grandi pozzi d’acqua dove non cadere dentro; arrampicarsi su una roccia che rischia di rompersi, come è successo a Ottavia. E poi le strettoie, il vuoto di sotto, il timore di cadere, la stanchezza: non ho dormito per 46 ore. La gente usciva con nausea e giramenti di testa».
Cosa le ha detto Ottavia Piana?
«Ha detto che non andrà mai più in grotta. Un anno fa ha avuto un altro trauma nella stessa grotta. E ora questo dramma, molto più complicato. Si è molto spaventata. I rischi sono tuttora elevati e non possiamo dire che la situazione sia sotto controllo. In questo momento nessuno vorrebbe ritrovarsi nei suoi panni. Quindi la sua idea — poi vediamo se cambia — è di non andare più in grotta ».