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Minori non accompagnati, Save the Children: “In Italia ragazzini condannati allo sfruttamento”

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Una lotteria con la vita e il futuro a fare da premio. In Italia ci sono oggi 19.215 ragazzini e bambini il cui destino dipende dall’efficienza di un sistema che troppo spesso risulta fallato e a diciotto anni lascia per strada, senza strumenti e senza rete, un esercito di adolescenti, spesso condannati a lavoro nero e sfruttamento. In gergo si chiamano “minori stranieri non accompagnati”, sono gli adolescenti, se non bimbi, che hanno attraversato le frontiere da soli e per loro – emerge dall’ultimo rapporto di Save the children “Nascosti in piena vista” – in Italia c’è un percorso a ostacoli.

Il racconto

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I numeri

Più vicini sono all’età adulta, più è complesso. E sono la maggioranza. Attualmente in Italia, più del 75% dei minori soli ha tra i 16 e i 17 anni, il 13,66% tra 7 e 14 anni e solo l’1,65% è nella fascia 0-6 anni. Si tratta per lo più di ragazzi. Bambine e ragazze non vanno oltre il 12,30%. Sono in maggioranza minori che provengono dall’Egitto. Seguono poi: Ucraina, Gambia, Tunisia e Guinea.

“A fare la differenza – spiega Antonella Inverno, responsabile ricerca e analisi dati di Save the Children – è la qualità dell’accoglienza, che andrebbe prevista presso una famiglia affidataria o in una struttura dedicata”.

Ma a dispetto della legge che lo vorrebbe prioritario, il ricorso all’affido familiare, è residuale. La valanga di richieste di affido arrivata per la piccola Yasmine, la bimba unica superstite di naufragio salvata dall’ong Trotamar III, è un caso raro. A giugno 2024 appena il 20,4% dei minorenni presenti in Italia risultava collocato in famiglia e nell’87% dei casi si trattava di minori ucraini. Per tutti gli altri, il futuro dipende dalla comunità in cui finiscono, dai corsi a cui possono accedere, dal tutore a cui sono affidati, ma anche solo dall’essere riconosciuti come i ragazzini che sono.

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Anche essere riconosciuti minori è una battaglia

“A Lampedusa – racconta Jordan – ho detto subito che sono minorenne, ma mi dicevano che non era vero perché sono alto. E ancora adesso ci sono tante persone che non mi credono solo perché sono alto”.

Non è un caso. Nonostante l’Italia sia stata per tre volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per modalità inadeguate di accoglienza e per il trattenimento illegittimo di minori non accompagnati in strutture per adulti, nel 2024 almeno 252 ragazzini hanno subito lo stesso destino.

È un errore di sistema che può avere ricadute devastanti. “Il rischio di essere identificati come adulti – spiegano da Save the Children – implica, infatti, diverse criticità, tra cui il possibile inserimento nella cosiddetta ‘procedura accelerata’”. Traduzione: la possibilità di essere rispediti indietro, solo perché provenienti da un Paese ritenuto sicuro, senza un reale accertamento delle vulnerabilità, a partire da quelle legate all’età e all’assenza di un adulto di riferimento.

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Grandi centri, zero opportunità

Ma anche nel caso in cui il minore venga riconosciuto come tale il suo percorso rischia di essere estremamente complesso. “Troppo spesso – spiega Antonella Inverno – i minorenni soli restano per mesi in grandi centri privi di opportunità – una situazione che al 30 settembre 2024 riguardava più di un minorenne su quattro”.

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Grandi centri significa meno opportunità, meno attenzione, attese più lunghe per i documenti. La differenza – spiegano da Save the Children – la fa la presenza o meno un rappresentante legale, un punto di riferimento importante che vigili sul rispetto dei diritti del minore.

Niente scuola, corsi e servizi, la grande fuga dei minori dai centri

Perché succede? In larga parte perché solo poco più di un minorenne su due (58,1%) a giugno 2024 era accolto in centri di seconda accoglienza. Tutti gli altri rimangono anche mesi in centri di accoglienza straordinaria (CAS minori) o in altre strutture emergenziali, dove sono garantiti solo servizi di base. Non esistono corsi di italiano, attività, supporto psicologico.

In teoria, i ragazzi ci dovrebbero restare solo per il tempo necessario al trasferimento in strutture Sai. In realtà ci rimangono mesi. Sempre che non scappino, cercando supporto nelle reti di connazionali già in Italia. Nei primi 9 mesi dell’anno 6.610 ragazzi hanno lasciato i centri, il 25%, pari a circa 1.650, non ha mai più fatto ritorno e è uscito definitivamente dal sistema di accoglienza, “con tutti i rischi che questo comporta”: tratta, sfruttamento, microcriminalità.

Fragilità che nessuno cura

Chi affronta le frontiere da solo è spesso fragile, porta addosso le ferite di quel viaggio. Nel 2023, il 2% dei minori accolti in progetti SAI ha mostrato segni di disagio mentale, mentre il 2,1% ha subito tortura o violenza. Le minori vittime di tortura o violenza rappresentano una percentuale significativamente più alta rispetto ai maschi (17,5% contro 1,3%), quelle vittima di tratta il 13,7%, rispetto allo 0,7% dei maschi. Un dato che rischia di essere sottodimensionato.

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Alla seconda accoglienza, molti minori neanche arrivano. E anche in quel caso, non è detto che la comunità sia in grado di offrire percorsi di crescita, istruzione, scolarizzazione ordinaria e formazione fondamentali per costruirsi una vita autonoma.

La tagliola della maggiore età

Per i ragazzi ci sarebbe la possibilità di proseguire in un percorso protetto che fino ai 21 anni garantisca supporto nell’accesso al mondo del lavoro, nella prosecuzione degli studi e nella individuazione di soluzioni abitative dignitose. Si chiama “prosieguo” e va richiesto. Al 17 ottobre 2024 ne risultavano attivi solo 1.601.

Ostacoli e intoppi, cui vanno aggiunti gli ostacoli burocratici e amministrativi di conversione del permesso e di riconoscimento della protezione internazionale. Molti neomaggiorenni diventano irregolari banalmente perché non c’è nessuno che li assista o li segua. Tutti gli altri sono condannati a rimanere in un limbo amministrativo per mesi. Nel corso del 2023, 11.700 neo-diciottenni sono usciti dal sistema di accoglienza e protezione.

 

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