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L’idrosadenite suppurativa è una condizione dermatologica cronica e invalidante, nota anche come “acne inversa”, un secondo nome che ne descrive perfettamente la sintomatologia.
«Mentre le lesioni tipiche dell’acne si sfogano all’esterno, quelle dell’idrosadenite suppurativa si infiltrano verso l’interno», descrive il dottor Damiano Abeni, responsabile dell’Unità di epidemiologia clinica dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata IRCCS di Roma. «I noduli sottocutanei si trasformano in ascessi singoli o multipli, ricorrenti, recidivanti e molto dolorosi, che tipicamente si sviluppano nelle zone delle pieghe cutanee, come ascelle, inguine, glutei e zona sottomammaria nelle donne».
Molto probabilmente a soffrirne è meno dell’1% della popolazione, ma l’incidenza potrebbe essere più alta, considerate la scarsa conoscenza della patologia e la mancanza di test diagnostici mirati.
Quali sono i sintomi dell’idrosadenite suppurativa
A caratterizzare l’idrosadenite suppurativa sono dei noduli cutanei, infiammati, pruriginosi e dolenti, che in genere evolvono verso la suppurazione, lasciando fuoriuscire sangue e materiale purulento.
«È soprattutto il dolore persistente a inficiare la qualità di vita dei pazienti», evidenzia il dottor Abeni. «Basandoci su questionari auto-valutativi che vengono utilizzati per misurare l’incidenza del dolore sulla vita delle persone affette da varie patologie, l’idrosadenite suppurativa ha dimostrato un impatto negativo, sia in termini di sofferenza sia di ricadute psicosociali, superiore a qualsiasi altra malattia della pelle, oltre a un peggioramento dello stato di salute più elevato rispetto a depressione e malattie cardiovascolari».
La sintomatologia crea paura e vergogna, che a loro volta possono influenzare la vita relazionale, sociale e lavorativa, oltre alla sessualità.
Come progredisce l’idrosadenite suppurativa
Di solito l’idrosadenite suppurativa esordisce in epoca giovanile, per cui si ipotizza anche un coinvolgimento ormonale. «Una volta partita, la malattia si cronicizza e segue un decorso caratterizzato da fasi di riacutizzazione e altre di remissione», spiega il dottor Abeni.
«Se consideriamo che l’attesa di vita in Italia supera gli 80 anni, mediamente le persone con idrosadenite suppurativa convivono con questa problematica per oltre 60 anni».
Quali sono le cause dell’idrosadenite suppurativa
La causa precisa dell’idrosadenite suppurativa è ancora sconosciuta, anche se è nota una combinazione di più fattori genetici, immunologici e ambientali, inclusi fumo di sigaretta, obesità e una dieta ricca di grassi e zuccheri.
Tutti questi elementi possono determinare un particolare processo di ostruzione e infiammazione dei follicoli piliferi, da cui si scatena la malattia.
Come si diagnostica l’idrosadenite suppurativa
Poco conosciuta, questa malattia può avere un ritardo diagnostico di molti anni, perché all’inizio i sintomi vengono sottovalutati.
«È importante rivolgersi a dermatologi esperti, magari chiedendo consiglio alle associazioni di pazienti per individuare quello più vicino al proprio domicilio, perché la diagnosi è essenzialmente clinica», tiene a precisare il dottor Abeni.
Come si cura l’idrosadenite suppurativa
Il trattamento dell’idrosadenite suppurativa si avvale dell’associazione di più terapie, medica e chirurgica. Si può ricorrere a corticosteroidi, antibiotici e antinfiammatori, opportunamente combinati, ma in alcuni casi è necessario ricorrere alla chirurgia quando le lesioni diventano invasive e invalidanti.
Gli interventi sono conservativi quando consistono nel drenaggio degli ascessi e si limitano ad asportare piccole aree di cute, mentre la chirurgia radicale prevede l’asportazione di ampie parti di tessuto, inclusi follicoli piliferi e ghiandole, per cui viene praticata solo in pochi centri specializzati.
«Si tratta di manovre difficili, perché vanno svolte su lembi di pelle estremamente infiammati: bisogna contenere il rischio di infezione e assicurarsi della corretta tenuta delle suture», commenta il dottor Abeni, che conclude: «Di recente sono stati approvati anche dei farmaci biologici, ma adesso si punta all’organizzazione di una presa in carico multidisciplinare e integrata che presuppone una rete di centri specializzati e un percorso strutturato e specifico per rispondere ai numerosi bisogni dei pazienti, incluso l’accesso all’assistenza psichiatrica, oggi del tutto assente».
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