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Il 22 dicembre 1894 Alfred Dreyfus fu condannato al carcere a vita per alto tradimento e destinato all’isola del diavolo. Ufficiale dell’esercito, era stato riconosciuto colpevole di spionaggio al servizio della Germania. Era chiaramente innocente, ma era stato scelto come capro espiatorio dai vertici militari perché ebreo. Il vero responsabile era un altro, cattolico.
L’affaire esplose in tutta la sua gravità solo quattro anni dopo, nel 1898, quando il quotidiano parigino L’Aurore pubblicò in prima pagina una lettera aperta al presidente della repubblica francese Félix Faure, intitolata «J’Accuse…!». Nell’articolo, Émile Zola denunciava l’ingiusta condanna del capitano d’artiglieria Dreyfus. Un attacco frontale alla corruzione e all’antisemitismo che pervadevano l’esercito e la politica, che sancì la nascita della moderna figura dell’intellettuale “impegnato”, pronto a esporsi in prima persona per «sollecitare l’esplosione della verità e della giustizia».