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Cultura, il decreto dimezzato. Saltano nomine e poteri ad Ales

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Un decreto Cultura dimezzato nel vero senso della parola, a cominciare dalla nomina dei nuovi dirigenti. Dovevano essere sei e invece sono diventati tre, finiti sotto la scure dei rilievi della ragioneria dello Stato: si sarebbe trattato di uno «spreco di denaro pubblico». Il compito di prendere la parola in Consiglio dei ministri per ridimensionare i progetti di Alessandro Giuli è toccato al responsabile dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Ci ha pensato invece il sottosegretario Alfredo Mantovano a fermare sul nascere la norma che avrebbe fatto diventare Ales una stazione appaltante iscritta nell’elenco dell’Autorità anticorruzione. Lo stop, si vocifera nelle stanze del dicastero, sarebbe arrivato per il timore che la corsia preferenziale concessa alla società in house del ministero, guidata da Fabio Tagliaferri, potesse svantaggiare chi nell’elenco è già iscritto, come ad esempio Invitalia. E secondo alcuni approfondimenti tecnici, sarebbero emersi problemi anche relativi ai requisiti necessari. Una forzatura che in un primo momento anche la premier Giorgia Meloni avrebbe avallato, ma che poi sarebbe andata a scontrarsi anche con profili di incostituzionalità.

In sostanza, ieri il provvedimento è profondamente cambiato in corsa. Prima dell’inizio del Consiglio e anche durante. Come le nomine legate al piano Olivetti. Nella bozza del decreto, anticipata da Repubblica, era stato dato ampio spazio al piano per promuovere la rigenerazione culturale delle periferie e per valorizzare le biblioteche e promuovere la filiera dell’editoria libraria. Era prevista – ed è saltata – una struttura di missione che avrebbe operato fino al 31 dicembre 2028 e sarebbe stata guidata da un dirigente generale e da due altri dirigenti. Per le loro retribuzioni era prevista una spesa complessiva di 769.288,77 euro per ciascun anno dal 2025 al 2028. Quindi oltre tre milioni. Troppo. E soprattutto è stato giudicata poco opportuna la possibilità – prevista in una bozza precedente – di affidare incarichi dirigenziali a figure esterne anziché utilizzare e valorizzare chi già lavora all’interno del ministero.

Giuli non l’ha presa bene, ha provato a resistere ma si è dovuto arrendere. Nel braccio di ferro ha ottenuto invece la conferma della nomina dei tre nuovi dirigenti che si dovranno occupare dei progetti di cooperazione con l’Africa e il Mediterraneo allargato. L’importo complessivo di 769.288,77 euro annui dal 2025 al 2028 ha, in questo caso, avuto il via libera. La Cgil giudica comunque un «fatto grave il controllo politico che si vuole esercitare su tutta la struttura ministeriale».

Il ministro Giuli non può che parlare di «un primo passo per rispondere alle esigenze della catena del valore della cultura e per dare una prospettiva, per affermare una visione internazionale di un nuovo ministero della Cultura». Ma sa che ancora molto c’è da fare e qualcosa in più l’avrebbe voluta ottenere, anche in manovra di bilancio.

Nel complesso il decreto prevede un intervento di 44 milioni di euro per librerie, biblioteche e giornali in formato cartaceo. Ottocento mila euro per la celebrazione del 25esimo anniversario della Convenzione europea sul paesaggio e un milione e ottocento mila euro per quattro istituti storici, a cui si aggiungono 200mila euro destinati alla Giunta storica nazionale per la promozione di edizioni critiche di opere di personalità rilevanti del XIX e XX secolo. Eliminati invece i 10 milioni che erano stati stanziati per la via Appia Antica perché non corrispondevano ai profili di necessità e urgenza. Ma è stato garantito che saranno presto inseriti in un nuovo testo. Del resto, Giuli ci ha già messo la faccia.

 

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