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Siri ci spia? E allora perché Apple è disposta a pagare 95 milioni di dollari?

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Negli ultimi giorni è circolata molto la notizia relativa alla proposta di Apple di risarcire gli utenti “spiati” da Siri, con 95 milioni di dollari totali.

Questa class action potrebbe quindi portare l’azienda della mela a rimborsare (con 20$ l’uno) tutti gli utenti che siano pronti a dichiarare, sotto giuramento, di essere stati ascoltati da Siri senza il loro consenso tra il 2014 e il 2024.

Ma cosa è successo di preciso? Siri ci spia davvero? Facciamo un po’ di chiarezza.

Le accuse di “spionaggio” di Siri

Al di là della paura più o meno comune che gli smartphone possano spiare le nostre conversazioni, l’accusa rivolta ad Apple è stata innescata soprattutto da un’inchiesta del Guardian del 2019.

In questo articolo, alcune persone che lavoravano al controllo qualità di Siri spiegavano al giornale inglese di come fosse capitato di ascoltare conversazioni private degli utenti, inconsapevoli che l’assistente vocale di iPhone stesse registrando quel che veniva detto.

Le persone in questione, che sarebbero state successivamente licenziate da Apple, erano pagate dall’azienda per verificare che Siri interpretasse correttamente le richieste degli utenti.

Non c’era quindi niente di illecito nelle registrazioni di per sé, che facevano parte di un comune programma di controllo qualità di un servizio (a cui gli utenti coinvolti avevano aderito).

Il problema sta invece nell’attivazione involontaria di Siri. Le conversazioni private a cui si fa riferimento, infatti, sono state ovviamente registrate per errore, probabilmente dopo che iPhone ha scambiato per il comando “Ehi Siri” un qualche suono emesso dagli utenti.

Come tutti gli assistenti vocali, infatti, anche Siri può essere attivato con una cosiddetta hotword (in questo caso Ehi Siri, appunto), ossia una parola chiave che risveglia l’assistente e lo mette in ascolto.

Come capita relativamente spesso su tutti i sistemi analoghi, può accadere però che lo smartphone scambi per l’hotword altre parole (o perfino suoni ambientali), che avviano quindi l’assistente e, di conseguenza, la registrazione dell’audio (a patto che gli utenti avessero attivato il comando vocale Ehi Siri e accettato di condividere i propri dati a fini di ricerca interna).

Apple si difende: niente pubblicità mirata

Apple ha ammesso che suoi dipendenti possano aver ascoltato conversazioni private registrate per errore, ma ha sempre sostenuto di non aver mai violato la privacy degli utenti deliberatamente.

In particolare, Apple ha negato che tali registrazioni fossero utilizzate per fini pubblicitari: alcuni utenti coinvolti nella class action, infatti, sostenevano di aver visto pubblicità di specifici brand solo dopo averne parlato.

L’idea che lo smartphone ci ascolti di nascosto e utilizzi poi quanto detto per proporci pubblicità è una paura molto comune (anche se molto spesso infondata) ma è veramente difficile pensare che sia questo il caso. 

Nonostante tutto, forse per chiudere al più presto la vicenda, Apple ha accolto la richiesta dell’accusa e ha proposto di risarcire con 20$ l’uno tutte le persone che sentono di aver subito una violazione della privacy.

In particolare, si parla di tutti gli utenti che tra il 2014 e il 2024 hanno avuto un dispositivo della mela (iPhone, iPad, Apple Watch, Mac) in grado di utilizzare l’assistente vocale tramite il comando Ehi Siri, a patto che questi utenti dichiarino sotto giuramento di essere sicuri di essere stati registrati senza il proprio consenso.

Sommando tutti i 20$ che Apple potrebbe dover risarcire a centinaia di migliaia di persone si arriva quindi alla famosa cifra di 95 milioni di dollari di cui si sta parlando molto in questi giorni.

 

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