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Imbrattano i bagni di feci, la supplente li sgrida: condannata dopo la denuncia dei genitori

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È arrivata a giudizio in tribunale dopo oltre quattro anni la vicenda di una maestra in servizio nell’istituto comprensivo di Fornovo di Taro (Parma) denunciata dai genitori degli alunni. 

L’insegnante, una sessantenne parmigiana, è stata condannata a un mese e 20 giorni di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione) “semplicemente perché si è comportata come ogni adulto di buon senso avrebbe fatto: dopo che una collaboratrice scolastica si era lamentata che i bagni erano stati imbrattati di feci, la maestra, come suo dovere, ha redarguito i ragazzi che all’epoca frequentavano una quinta di scuola primaria dell’istituto comprensivo di Fornovo Taro dove la poveretta era stata ‘sfortunatamente’ chiamata per qualche ora di supplenza”, racconta il sindacato Gilda degli Insegnanti di Parma e Piacenza, tramite il suo coordinatore Salvatore Pizzo.

“Dopo i richiami fatti agli scolari, alcuni genitori, anziché chiedere un appuntamento alla docente e ringraziarla, l’hanno pure denunciata”, ricostruisce il sindacato.

La donna che è finita a giudizio per abuso di mezzi di correzione ha avuto la magra consolazione che anche l’accusa (pm Massimiliano Sicilia) ne chiedesse l’assoluzione “di fronte all’evidente irrilevanza penale della contestazione, non è stato dello stesso avviso il giudice”.

Le versioni a processo tuttavia non coincidono: l’insegnante, che in quel momento era nella classe in supplenza, sostiene di essersi limitata a richiamare gli alunni all’ordine dopo quanto denunciato dalla bidella circa lo stato dei bagni, minacciando di rivolgersi al dirigente scolastico. Alla notizia dei wc imbrattati si era infatti creata una situazione di trambusto.

Alcuni bambini della quinta classe della scuola primaria, invece, raccontarono in lacrime ai genitori di essere stati ricoperti di insulti. E pochi giorni dopo scatta la denuncia ai carabinieri di un paio di famiglie.

Da qui l’indagine e il processo per per “abuso di mezzi di correzione”. A carico della donna anche l’obbligo, oltre ai propri avvocati, di pagare le spese processuali.

E se il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto l’assoluzione della maestra “perché il fatto non sussiste”, per il giudice l’insegnante esagerò nel riprendere gli alunni. I legali della maestra, da parte loro, chiedendo l’assoluzione della supplente, avevano sottolineato come i racconti dei testimoni non fossero coincidenti fra loro.

Il sindacato rimarca come “nessuno abbia agito per l’evidente ‘colpa in educando’ contro i genitori”.

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