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Parlamento Ue, il Pd tratta per l’ingresso dei 5S nel gruppo dei Socialisti. Ma Conte è dubbioso: i grillini rischiano di perdere la vicepresidenza

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MILANO – Il Pd è orientato a dare il via libera: il gruppo dei Socialisti e democratici è pronto ad accogliere gli otto europarlamentari del M5S. Ma ora i vertici del Movimento sono colti dal dubbio: il rischio infatti è quello di perdere la propria vicepresidenza del Parlamento Ue, quella di Fabio Massimo Castaldo. Perciò Giuseppe Conte nicchia. Il 25 ottobre scorso durante il suo pranzo con Enrico Letta il tema è stato trattato, i dem non si oppongono all’ingresso ma non possono garantire molto di più in fatto di ruoli. E il Movimento 5S non ha ancora presentanto una domanda ufficiale di adesione al Pse.

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Per spiegare meglio il passaggio va fatta una premessa. A metà legislatura europea tutte le nomine – compresa ad esempio quella di David Sassoli (Pd), il presidente del Parlamento – vengono azzerate. L’appuntamento adesso cade a metà gennaio 2022. Altra premessa: chi non è iscritto ad alcun gruppo, com’è il caso del M5S oggi, in Europa non tocca palla. Non è come stare nel gruppo misto alla Camera o al Senato. Nei fatti si resta fuori dai giochi, non si hanno ruoli determinanti nelle commissioni, si ha meno tempo di parola, si hanno meno fondi a disposizione.

Il post ideologico Movimento nella scorsa legislatura, in piena fase populista, scelse il gruppo euroscettico di Nigel Farage; poi si avvicinò ai liberaldemocratici. All’atto pratico, votava quasi sempre come i verdi e la sinistra radicale del Gue, oggi The Left. A questo giro, nel 2019, non c’è stata alcuna adesione. L’essere riusciti a far nominare Castaldo fu un mezzo miracolo, il primo caso della storia di un non iscritto ad alcun gruppo a ottenere una carica di vicepresidente. Grazie, va detto, anche alla buona reputazione di cui godeva e gode.

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L’avvicinamento ai socialisti del M5S va avanti da tempo, entro fine dicembre tocca chiudere (in un senso o nell’altro), ma Pd e compagni hanno già messo le mani avanti, cioè non sono in grado di garantire la rielezione del vicepresidente. L’impegno massimo dei dem oltretutto è su Sassoli. Resta quindi il punto di domanda per Conte: ci sono più probabilità di rifarcela stando dentro o fuori dal gruppo S&D?

Il timore del M5S è infatti che se una volta entrati poi Castaldo perdesse la carica, l’opposizione interna – quella che non vede bene un passo simbolico così netto in direzione del centrosinistra – avrebbe subito un ottimo argomento per contestare la bontà della scelta. Una cosa tipo, “eccoli, i volponi ci hanno fregato subito”. Con l’ingresso degli otto eletti del Movimento nel gruppo (ben sei si sono persi per strada da due anni a questa parte), la delegazione italiana della famiglia progressista diventerebbe la più forte.

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I 5 Stelle potrebbero comunque guadagnarci qualche presidenza di commissione, un paio forse. Ma sulla vicepresidenza è tutto da vedere. E se il Movimento restasse anche stavolta fuori dai gruppi? In realtà anche in quel caso le possibilità non sono altissime. Dal Ppe è uscita la delegazione ungherese del Fidesz, il partito di Viktor Orbán.

Anche loro resteranno nel limbo dei non iscritti. Per questo motivo fuori dal “sistema” la concorrenza, anche nelle commissioni, aumenterebbe comunque. Dal suo ruolo di ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è espresso giusto due giorni fa parlando al Mattino, “dobbiamo costruire un fronte progressista anche in Europa e aderire al gruppo socialista”. Sul quando, ora tocca a Conte valutare i pro e i contro.

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