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L’allarme del Copasir e i dubbi del governo sulle mosse di Enel

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ROMA – Nella delicata partita politica che si è aperta negli ultimi giorni all’interno della maggioranza di governo sulla crisi in Ucraina, si fa spazio — per ora ufficiosamente — un nuovo fronte, capace di creare non poche tensioni: il rapporto con le aziende partecipate. Un indizio è contenuto nella relazione che il Copasir ha inviato mercoledì al Parlamento. Alcuni gruppi, scrive, “avrebbero avuto atteggiamenti incoerenti, contradditori e ambigui con le società russe, non recependo tra l’altro le indicazioni formulate dall’esecutivo”. A finire sotto i riflettori politici è stata soprattutto Enel. E, per ragioni assai diverse, anche Eni. In comune, i manager delle due società, Francesco Starace e Claudio De Scalzi, hanno il fatto di aver cercato subito di prodigarsi accanto a Mario Draghi per aprire nuovi canali per reperire fonti energetiche. Ma il contesto in cui si sono sviluppati questi sforzi è completamente difforme. E ha fatto la differenza.

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Con Enel si può parlare di freddezza con il governo. Rapporti difficili che hanno un antefatto, alla fine di gennaio. Il gruppo — seppur non con il suo amministratore delegato — partecipò all’incontro tra alcune delle principali aziende italiane eVladimir Putin, organizzato dal presidente della Camera di commercio italo-russa, Vincenzo Trani, vicinissimo al presidente russo. Enel sedette davanti aPutin non dando ascolto al governo, che aveva esplicitamente fatto sapere di non gradire quella partecipazione. “Avevamo preso un impegno e non c’era niente di compromettente”, ha spiegato lo stesso Starace davanti al Copasir il 16 marzo scorso. E però, evidentemente, la ferita è rimasta aperta, visto che quanto accaduto in seguito ha ulteriormente complicato i rapporti.

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Ma non basta. Ai piani alti dell’esecutivo si imputa a Enel un certo ritardo nel comprendere la fase aperta dall’invasione decisa da Putin, accompagnato da una poco comprensibile lentezza nel dismettere le posizioni in Russia. Il colosso energetico ha una società a Mosca, partecipata dal Fondo Sovrano. Di fatto, sembra quasi che si imputi a Enel di non essersi messa fino in fondo a disposizione delle politiche pubbliche nella prima fase emergenziale.

Altro discorso vale invece per Eni. Non si tratta del rapporto con Mosca, in questo caso, perché Claudio Descalzi ha anzi contribuito in modo decisivo alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, con diversi viaggi: Congo, Angola, Algeria tra gli altri. Un atteggiamento assai apprezzato da Mario Draghi. Eppure, anche con il colosso energetico qualcosa di recente non è andato liscio. Descalzi guida una società quotata, ha a disposizione gas estratto direttamente dall’azienda in varie aree del pianeta e rivendica alcune scelte di politica industriale. Non avrebbe gradito la tassa sugli extraprofitti voluta dall’esecutivo, che colpirebbe un valore fondamentale degli azionisti capace di far volare sul mercato il titolo. E questo, a fronte di una disponibilità a calmierare i prezzi del gas prodotto. Il governo, invece, rivendica quella mossa, dovendo badare al quadro d’insieme.

Ma torniamo al Copasir. E all’allarme lanciato su un piano più generale. Nella relazione si rileva che alcune “scelte discutibili non possono trovare giustificazione facendo leva su argomenti che richiamano l’autonomia delle imprese o le logiche di mercato. Si è di fronte ad aziende di natura strategica che — proprio per la diretta partecipazione da parte dello Stato — sono vincolate a doveri più stringenti, soprattutto in una fase complessa come quella che si sta vivendo”. La commissione non fa riferimento soltanto alle partecipate, visto che ha richiesto anche un’informativa al Dis sulle aziende italiane che, sfruttando la triangolazione con altri paesi dell’ex Unione sovietica, starebbero eludendo le sanzioni.

Ma in queste ore il Copasir si è occupato anche di un altro nodo sensibile: le armi fornite a Kiev. A riferire, ieri, è stato Lorenzo Guerini. Il ministro della Difesa ha elencato alla commissione il contenuto del secondo decreto secretato già pubblicato in Gazzetta ufficiale. Tra l’altro, è previsto munizionamento più pesante. Roma fornirà inoltre anche anti-mine e granate pesanti. Poi sarà il tempo di un terzo decreto: esiste la “possibilità” che venga varato presto, ha spiegato, se lo richiederà la “situazione sul campo” e in “base alle esigenze espresse dall’Ucraina”. La possibilità è in realtà una sostanziale certezza, forse già la prossima settimana. Si tratta di artiglieria pesante come obici FH70 155 millimetri a traino meccanico, una cinquantina di veicoli Lince, probabilmente anche missili anti-nave. Tutti i membri hanno concordato sull’opportunità di tenere secretato l’elenco del materiale bellico, anche perché in alcuni casi si tratta di armi acquistate da altri Paesi: l’accordo di cessione a uno Stato terzo deve essere approvato dai produttori e, in alcuni casi, si accompagna al vincolo di segretezza per evitare ritorsioni o tensioni.

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