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M5S all’opposizione, cresce la voglia di strappo: “Non siamo rispettati”

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ROMA – “Se non c’è rispetto verso il M5S, che è la prima forza di maggioranza, dovrà aprirsi una riflessione seria sulla nostra lealtà al governo, sul nostro sostegno”, mette a verbale Gianluca Ferrara, vice-capogruppo del Movimento in Senato, al termine di una giornata vissuta dai grillini come l’ennesima sberla: l’aula di Palazzo Madama ha appena cassato la richiesta dei 5 Stelle, appoggiata da FdI, di far tornare il premier Mario Draghi in Parlamento per “comunicazioni” sulla crisi Russia-Ucraina, prima del Consiglio europeo straordinario di lunedì. Alle comunicazioni del capo del governo sarebbe seguito un voto, quello che Giuseppe Conte reclama da un mese, senza successo, per bloccare le forniture di armi italiane alla resistenza di Kiev. Niente da fare. Un fronte trasversale, che va dalla Lega ai renziani, boccia la richiesta. E l’ennesimo no fa da detonatore ai mugugni 5 Stelle, alle frasi rimaste nei denti per settimane.

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di
Matteo Pucciarelli

22 Maggio 2022

Ferrara, silurato dal resto della maggioranza (tranne i dem) per la presidenza della Commissione Esteri post-Petrocelli, non ha paura di dirlo davanti al taccuino: pretende “rispetto” per il partito “di maggioranza relativa”. Evoca lo strappo quando parla della necessità di una “riflessione seria sul nostro sostegno” all’esecutivo. Altri chiedono l’anonimato ma a microfoni spenti recitano lo stesso spartito: “Che senso ha restare al governo così?”.

Per paradosso, è Giuseppe Conte, che da aprile non tira certo di fioretto contro il suo successore a Palazzo Chigi, a schiacciare sul freno. Per ora: “Non vogliamo la crisi”, ripete. Sa che le truppe parlamentari del Movimento non marciano unite. Che strappare ora significherebbe quasi sicuramente scissione, soprattutto per i deputati e i senatori al secondo mandato (e per quelli già certi di non essere ricandidati). Eppure il tema, la rottura col governo maldigerito fin dall’esordio, si pone, nemmeno più sottotraccia. Tanto che a Campo Marzio, quartier generale del M5S a 300 metri da Chigi, qualcuno, nelle scorse settimane, ha ripescato una formula da archeologia politica: l’”appoggio esterno”. Ma fa troppo Fanfani, troppo Prima Repubblica. Difficile spiegarlo agli attivisti, che pure, ricorda un altro senatore, “nei territori ci chiedono solo di staccare la spina”.

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24 Maggio 2022

Lo stesso Conte non è convinto. Non vuole la crisi. Ma navigare nell’ultimo scampolo di legislatura continuando a tracciare “linee rosse”. Come sull’inceneritore di Roma, inserito nel decreto Aiuti e ora madre di tutte le battaglie 5 Stelle. Nelle stanze della Commissione Bilancio della Camera si tratta. I grillini hanno presentato un emendamento che manderebbe a carte quarantotto il progetto del sindaco dem Roberto Gualtieri. La controproposta del Pd è di inserire una formula lasca che salvi la capra (il termovalorizzatore) e i cavoli (l’ambientalismo caro al Movimento): con i poteri speciali concessi dal governo, il sindaco di Roma potrebbe realizzare un piano rifiuti “che rafforzi la raccolta differenziata» e che sia “all’insegna della transizione ecologica”. Senza però vincoli sull’inceneritore. Basterà? Difficile.

La conta sui rifiuti è comunque rimandata a dopo le elezioni amministrative, che per il Movimento, a leggere i pronostici, si preannunciano come l’ennesimo flop. Conte infatti guarda già al dopo. Nuovo nome, nuovo simbolo, da testare magari alle regionali in Sicilia. E nuova tornata di clic con gli attivisti M5S, probabilmente a luglio, per togliere l’elefante dalla stanza delle discussioni parlamentari: il tetto del secondo mandato per gli eletti. Tra quanti seguono il dossier a Campo Marzio c’è chi azzarda: “Sarà una votazione secca, chiederemo agli attivisti: sì o no. Come finirà? È una puntata facile…”.

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