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L’ultima indagine sulla strage di Capaci rilancia la pista nera e cerca conferme alla presenza di Stefano Delle Chiaie, il capo di Avanguardia Nazionale, sull’autostrada verso Palermo, il 23 maggio 1992. A parlarne con i magistrati sono stati nei mesi scorsi due testimoni, che Report ha intervistato nello speciale di lunedì: la moglie del boss palermitano Alberto Lo Cicero, Maria Romeo, e il maresciallo in pensione Walter Giustini sostengono oggi di avere ricevuto importanti rivelazioni da Lo Cicero, morto anni fa. Ma il giorno dopo la trasmissione Rai, il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca ha disposto una perquisizione nella redazione di Report e nell’abitazione di Paolo Mondani, l’autore delle interviste e dello scoop. Un comunicato della procura nissena spiega che l’indagine non «riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal giornalista», ma i due testimoni, per «verificare la genuinità delle fonti».
Dopo mesi di indagini, i pubblici ministeri non hanno più dubbi: le dichiarazioni della moglie del boss e dell’ex carabiniere «sono totalmente smentite dagli atti acquisiti».
Non usa mezzi termini il procuratore De Luca, che è andato a riprendere dagli archivi del palazzo di giustizia di Palermo anche le intercettazioni fatte a Lo Cicero: «Non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie». E non avrebbe mai detto, come sostenuto dai testimoni, di aver saputo dei preparativi della strage di Capaci: «C’eravamo imposti la rigorosa consegna del silenzio — dice ancora De Luca — ma siamo stati costretti a intervenire per smentire notizie che possano causare disorientamento nella pubblica opinione e profonda ulteriore amarezza nei prossimi congiunti delle vittime delle stragi, che si verrebbe a sommare al tremendo dolore sofferto». La pista nera sembra aver già perso vigore. E non è l’unica. Ci sono altre due indagini che hanno impegnato non poco il pool di Caltanissetta, formato dai pm Pasquale Pacifico, Claudia Pasciuti, Nadia Caruso e Davide Spina.
Un altro presunto supertestimone, l’ex pentito Maurizio Avola, ha parlato di un artificiere americano per la strage di Capaci e ha sostenuto addirittura di essere stato fra gli assassini di Paolo Borsellino: dichiarazioni rilanciate da un libro scritto con Michele Santoro e da prime serate Tv. Ora, Avola è indagato per calunnia e autocalunnia. La procura di Caltanissetta ha bocciato anche le dichiarazioni di un altro ex pentito che si proponeva pure lui come supertestimone, Pietro Riggio: diceva di aver saputo del ruolo di un ex poliziotto a Capaci, Giovanni Peluso. Un altro caso che va verso la chiusura con una richiesta di archiviazione.
Resta la domanda: cosa c’è dietro i testimoni che propongono le loro verità sulle stragi e poi vengono smentiti dai pm? Solo il desiderio di celebrità, o magari la ricerca di vantaggi economici con l’entrata nel programma di protezione? Oppure, qualcuno — non è chiaro chi — prova a portare lontano la verità?
Sigfrido Ranucci difende l’inchiesta di Report: «Quello della procura di Caltanissetta è un comunicato molto contraddittorio. Di quale fuga di notizie si tratterebbe se loro non le ritenevano confermate? C’è una verità giudiziaria ed una storica da raccontare». E poi dice ancora: Nessuna polemica, ma preoccupazione sì, per un’eventuale mancanza di tutela delle fonti».
Ma cosa cercavano i pm con la perquisizione? «In un’occasione — scrive la procura — il giornalista avrebbe incontrato il maresciallo non per chiedergli informazioni, ma per fargli consultare la documentazione che aveva in possesso, in modo che il sottufficiale fosse preparato per le sommarie informazioni da rendere a questa procura». I pm volevano capire di che documentazione si trattasse. Replica Mondani: «Non c’è alcun mistero, era un rapporto su Lo Cicero scritto dal carabiniere 30 anni fa, me l’aveva prestato e gliel’ho restituito. Se la Dia me l’avesse chiesto, anche senza il decreto di perquisizione, lo avrei detto subito». Ieri, il giornalista ha spiegato, dicendo dove si trovava il rapporto. E la perquisizione non è neanche iniziata.