[ Leggi dalla fonte originale]
Viviamo tempi difficili. Negli ultimi anni, in particolare, passiamo da una “paura” all’altra. Dopo il Covid, la guerra in Ucraina. Non lontano dai nostri confini. Anche per questo il rapporto degli italiani con la politica è cambiato, come abbiamo osservato nelle precedenti indagini condotte da Demos per Repubblica. Il sondaggio appena concluso conferma l’atteggiamento volatile dei cittadini, che non trovano più riferimenti politici precisi. E stabili.
Oggi i FdI hanno superato il Pd di un punto o poco più: 22,3% a 21%. Mentre Lega e M5S si posizionano fra il 13 e il 16%. E gli altri sotto il 10%. FI: all’8%. I rimanenti: meno del 5%. È una conferma che la distanza fra i cittadini e i partiti si è allargata, complice la pandemia. Mentre, parallelamente, si è rafforzato il consenso verso i Presidenti. Oltre al Capo dello Stato, il Presidente del Consiglio. Favorito da una maggioranza di “quasi” tutti. “Quasi” senza opposizione.
Meloni, l’ascesa della leader di FdI che ora detta le regole: “Clausola anti-inciucio”
di
Emanuele Lauria
Così, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è divenuto il riferimento principale di “quasi” tutti. Come Giuseppe Conte, prima di lui, sostenuto da un largo consenso, fino alle “dimissioni forzate”, nel febbraio 2021. Una tendenza confermata da questo sondaggio. Il governo, infatti, mantiene un grado di fiducia molto elevato: 63%. Lo stesso, identico, indice di consenso nei confronti di Mario Draghi. A conferma della stretta connessione tra il governo e il (suo) Capo. Quasi 8 italiani su 10, inoltre, prevedono (e, forse, auspicano) che questo governo rimarrà in carica fino al termine della legislatura. Draghi è seguito, a distanza, da Giuseppe Conte. Favorito, a sua volta, dal precedente ruolo di governo, piuttosto che dall’attuale posizione, alla guida del M5S. È, comunque, significativo come quasi tutti i leader politici proposti nel sondaggio di Demos abbiano visto salire il loro grado di fiducia. Perché i leader contano più dei partiti. Giorgia Meloni e Paolo Gentiloni, in particolare, hanno affiancato Giuseppe Conte. Giorgia Meloni: il volto dell’opposizione. Paolo Gentiloni: il volto (italiano) dell’Europa. In tempi di guerra.
L’incremento maggiore (+7 punti), però, è registrato da Dario Franceschini, molto attivo sul fronte della cultura. E da Silvio Berlusconi. Seppure il Cavaliere non sia fra i più apprezzati. D’altra parte, anche in passato è stato un leader “divisivo”, più che “con-diviso”. Simbolo della Seconda Repubblica e del passaggio dalla “democrazia dei partiti” alla “democrazia del pubblico”. Fondata sui media e sulla “personalizzazione”.
Amministrative, scommessa a Rieti: la lista si chiama Conte ma M5S non c’è
di
Lorenzo De Cicco
Un percorso che si è consolidato durante lo scorso decennio, insieme all’ascesa del M5S. Il “non-partito”, che ha spostato la comunicazione (anti)politica dai mass media al digitale. Così, i partiti hanno trasferito la loro “identità” dalle ideologie alle persone. Sono divenuti “partiti personali” (come li ha definiti Mauro Calise). E di “passaggio”. Di breve durata. Perché le idee e i valori resistono a lungo, quando hanno basi organizzative solide. Le persone, invece, “passano”. Per questo, in pochi anni, abbiamo visto alcuni fra i principali partiti “passare”, in breve, da “protagonisti” a “comprimari”. Il M5S è più che dimezzato, rispetto al 2018. Come la Lega, rispetto alle Europee del 2019.
Parallelamente, i FdI di Giorgia Meloni, fino a pochi anni fa attestati intorno al 5%, oggi sono il primo partito, oltre il 22%. Mentre il Pd “resiste”. Nel passato recente, davanti a tutti. Superato “all’indietro” dagli altri. Oggi è secondo. Ancorato al 20-21%. Perché unico e ultimo erede dei partiti della Prima Repubblica. E, per questo, con una base elettorale limitata, ma radicata nel territorio e nella società. Al proposito, è emblematico il caso di Matteo Renzi, che ha “personalizzato” il Pd, nello scorso decennio. E ne è uscito, a fine estate del 2019, quando si è sentito “isolato”. Così ha fondato Italia Viva. Oggi in crescita…al 2,5%.
Ci troviamo, dunque, in una situazione instabile. Tanto più perché coinvolti in una “triplice campagna elettorale”. La prima riguarda i referendum sui temi della giustizia, che si svolgeranno il prossimo 12 giugno. Una scadenza importante, sulla quale una larga maggioranza di cittadini ammette di non essere molto (o per nulla) informata.
Tuttavia, l’esito della consultazione, come chiarisce Fabio Bordignon, potrebbe avere effetti rilevanti. In particolare, sul partito e sul leader più impegnati su questo fronte: la Lega di Matteo Salvini. Nello stesso periodo, peraltro, si voterà per rinnovare l’amministrazione in circa mille comuni. Un test importante sullo stato di salute dei partiti, sul territorio.
La terza campagna riguarda le elezioni politiche, previste fra un anno. Ma è già iniziata. Da tempo. E nei prossimi mesi è destinata a divenire più accesa. Infatti, di fronte a nuove elezioni ogni partito, ogni leader pensa al proprio vantaggio elettorale. A s-vantaggio degli altri. Tanto più dopo che i posti in Parlamento sono stati ridotti di un terzo. Così, dopo “il governo di (quasi) tutti” è lecito attendersi una stagione politica di tensioni: “tutti contro tutti”. Insomma, prepariamoci a un ritorno alla tradizione.