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Aborto a ostacoli: le violenze a cui sono sottoposte le donne

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Un report e la campagna “The Unheard Voice” mettono a nudo una violenza psicologica, sistematica, pubblica e di Stato in corso in Italia, contro chi vuole accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, diritto che dovrebbe essere tutelato

28 Settembre 2024

Aborto: un diritto delle donne sempre più minato dalla politica e dai medici stessi, con forte ripercussione sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire. È quanto emerge dal report “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza“, presentato da Medici del Mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute, in occasione della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro celebrata il 28 settembre.

Il report evidenzia un vero e proprio attacco sistematico all’accesso all’IVG (interruzione volontaria di gravidanza), denunciando come la politica stia istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza.

Non solo. La campagna “The Unheard Voice” mette in luce la diffusa violenza psicologica cui sono sottoposte molte delle 63.000 donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza, facendo ascoltare per la prima volta cosa realmente accade nelle strutture sanitarie, in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il “battito fetale” o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto. Senza contare che, salvo alcune avanguardie (come Lazio ed Emilia-Romagna), la pillola abortiva (RU486) in Italia continua a essere considerata un farmaco rischioso, nonostante in Europa la si utilizzi da oltre 30 anni.

Cosa sta succedendo in Italia

Tra proposte di legge per l’ascolto forzato del “battito fetale” o per il riconoscimento della capacità giuridica del feto, lo stanziamento di fondi pubblici a favore di gruppi che lottano contro il diritto all’aborto che la legge dovrebbe tutelare, e, ancora, la normalizzazione di pratiche aberranti come i cimiteri dei feti, in Italia la lotta all’aborto si è fatta sempre più violenta attraverso vere e proprie politiche di deterrenza.

Con la complicità delle amministrazioni locali, a volte sono consentiti l’ingresso e l’ingerenza di gruppi antiabortisti nei luoghi della sanità pubblica. È il caso dell’emendamento all’articolo 44 del ddl per l’attuazione del PNRR, approvato lo scorso 23 aprile dal Senato, che dà alle Regioni il potere di avvalersi, all’interno dei consultori, “di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Che, spesso, coincidono con gruppi contro l’aborto. Come i CAV – Centri di aiuto alla vita del Movimento per la Vita (MpV), primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194: in Italia ce ne sono oltre 400, di cui almeno una trentina all’interno di ospedali pubblici.

Emblematico il caso del Piemonte dove, all’ospedale Sant’Anna, i volontari MpV gestiscono uno sportello per le donne che vogliono interrompere una gravidanza, offrendo un sostegno economico una tantum a chi sceglie di non abortire. Le risorse provengono dal “Fondo Vita Nascente” della Regione, nato nel 2022 con lo stanziamento di 400mila euro, salito quest’anno a 1 milione.

Le conseguenze sulle donne

Le testimonianze raccolte da diverse associazioni e riportate nel report di Medici del Mondo parlano di situazioni al limite: atteggiamenti ostili e linguaggio offensivo del personale sanitario (“Potevi pensarci prima”, “Queste ragazzine sempre con le gambe aperte”), psicologi e psicologhe che chiedono continuamente “sei sicura?”, medici che non si presentano agli appuntamenti appositamente per allungare i tempi, donne costrette ad ascoltare il “battito fetale” e a firmare, contro la loro volontà, per la sua sepoltura.

Una vera e propria violenza psicologica (e fisica, se si considerano gli antidolorifici volutamente negati dopo la procedura), sistemica e costantemente aggravata dai ripetuti tentativi dei gruppi antiabortisti di umanizzare l’embrione e criminalizzare la persona che ha scelto di interrompere la gravidanza, cercando di creare sensi di colpa.

Il risultato? Ai numerosi ostacoli che chi vuole abortire deve affrontare, si somma un del tutto inutile trauma emotivoSecondo l’OMS, una normativa restrittiva sull’aborto può causare angoscia e stigmatizzazione e rischia di costituire una violazione dei diritti umani, oltre a imporre oneri finanziari. Sulla stessa linea lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco -, che dimostra che le donne che incontrano barriere (di qualsiasi tipo), che ritardino o rendano più difficoltoso l’accesso alla IVG, presentano maggiormente stress, ansia e depressione.

Le donne a cui è stata negata l’IVG, rispetto a quelle che hanno potuto abortire, hanno riportato anche maggiori difficoltà economiche e maggiore probabilità di vivere in stato di povertà, di rimanere legate a un partner violento o di crescere i figli da sole.

Al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico: l’emozione più comunemente provata è il sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l’interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta.

La campagna “The Unheard Voice”

La campagna “The Unheard Voice” è stata lanciata il 18 settembre scorso a Roma, con Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia, la comica Laura Formenti, la psicoterapeuta e attivista Federica di Martino (@IVGstobenissimo), la musicista e producer Linda Feki (@LNDFK), altre associazioni che si battono per il diritto all’aborto, nonché diverse personalità politiche.

Per l’occasione, grazie ad un’esperienza sonora immersiva all’interno di una speciale installazione – una teca trasparente con un piccolo ambulatorio ginecologico –, sono state riprodotte alcune delle frasi realmente pronunciate dal personale sanitario, come “Doveva pensarci prima!”“Ti sei divertita, ora paghi”“Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!”“Siamo donne, dobbiamo soffrire”. Si tratta di testimonianze reali di donne che, a fronte del proprio diritto di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza, hanno subito abusi e violenze inaccettabili, da Nord a Sud della Penisola.

Nelle prossime settimane “The Unheard Voice” correrà online e sui social per fare informazione e sensibilizzare su questo tema attualissimo, mentre le testimonianze dell’esperienza sonora di Roma si potranno ascoltare su Spotify e perfino a Parigi, dove l’installazione di Medici del Mondo verrà portata il 28 settembre per un grande evento in occasione della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro. Inoltre, a supportare la campagna e ad amplificarne il messaggio, ci saranno le voci di attiviste e attivisti e influencer.

«Con “The Unheard Voice” vogliamo accendere i riflettori su una violenza psicologica, sistematica, pubblica e di Stato che non è più accettabile», spiega Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia. «Il report evidenzia quanto ancora siamo lontani dalle raccomandazioni dell’OMS e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza. E ciò a causa di una chiara volontà politica che può avere conseguenze sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire. Come organizzazione medico sanitaria, chiediamo al Ministero della Salute di adeguare la normativa e le procedure in materia di IVG recependo integralmente le raccomandazioni dell’OMS del 2022 e di garantire un sistema sanitario davvero capace di garantire il diritto all’aborto».

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