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Sarà come sempre il senatore di Scandicci ad aprire venerdì sera la kermesse della Leopolda, giunta all’undicesima edizione. Nel vecchio scalo fiorentino, scelto negli anni d’oro del renzismo per raccontare l’epopea del golden boy capace di trasformare in oro qualunque cosa tocchi, potrebbe stavolta celebrarsi il suo ultimo atto. Quello di un leader in grande difficoltà, alla guida di un partito inchiodato al 2% nei sondaggi, assediato dalle inchieste giudiziarie, inseguito dall’accusa poco nobile di farsi finanziare dai peggiori dittatori del pianeta.
Un declino che già da mesi tormenta gli eletti di Italia Viva: imprigionati in un misto di angoscia per il futuro e di disillusione politica, che il fascicolo Open ha fatto deflagrare. Gonfiando d’inquietudine la pattuglia dei fuoriusciti dem: ora almeno in parte tentati di abbandonare la nave prima che affondi del tutto. Magari virando bruscamente a destra, come il patto con Micciché in Sicilia e il dialogo sempre più fitto con Salvini farebbero presagire.
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Luca Serranò
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Secondo i boatos che si rincorrono in Transatlantico, sarebbero una decina (su 43) i parlamentari pronti a lasciare Renzi in caso di accordo con la Lega. Lo spartiacque sarebbe proprio la Leopolda: l’evento dopo il quale avviare la manovra di sganciamento. Da giustificare con la mancata condivisione della “nuova” linea imposta dal capo. E formalizzare alla vigilia della partita sul Quirinale, dove anche pochi voti possono fare la differenza.
È allora che i malpancisti dovrebbero consumare lo strappo. Rispettando precise regole d’ingaggio che prevedono di non parlarne, e anzi di smentire ogni indiscrezione, finché la mini-scissione non sarà compiuta.
Non a caso Gennaro Migliore, l’ex esponente di Rifondazione segnalato fra le menti della fronda, prova a glissare: “Il 90% di Iv è di centrosinistra, incluso Renzi. Nessuno di noi, incluso Renzi, passerà mai a destra. Lo dimostrano le ultime amministrative, che ci hanno visti alleati praticamente ovunque”. E allora il gruppo unico Iv-Fi varato all’Assemblea regionale siciliana in vista delle comunali di Palermo, dove si faranno liste alternative a quelle del Pd? “Si tratta di un’eccezione che io non approvo e non voglio neppure immaginare possa diventare una strategia nazionale. Per me l’imperativo resta: con Salvini mai”, taglia corto il deputato napoletano.
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12 Novembre 2021
Più esplicito il senatore umbro Leonardo Grimani, ex Pd poi trasmigrato: “Il richiamo a elezioni anticipate non può essere strumentale a un possibile avvicinamento alla destra, che a me non piace e nessuno ha deciso. La nostra linea è sempre stata un’altra: creare un’area di centro che si rifà al riformismo e al cattolicesimo democratico. È vero che il centrosinistra non ha i numeri per eleggere da solo il capo dello Stato, ma non possiamo nemmeno andare al traino del centrodestra. Se il partito scegliesse di fare un accordo con Salvini, magari per votare Berlusconi, io prenderei le distanze”.
Sanno bene, i renziani a disagio, che in questa fase bisogna muoversi a fari spenti. Che l’operazione, ad alto rischio fallimento, è complicata dall’assenza di un porto sicuro cui attraccare. Gli abboccamenti con il Pd sono andati male: gli ultimi due italovivi che sono riusciti a tornare indietro – il deputato Vito De Filippo e il senatore Eugenio Comincini – hanno avuto la prontezza d’infilarsi nell’unica finestra lasciata aperta durante la crisi del Conte II, quando si cercava disperatamente il Ter.
L’inchiesta
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Andrea Bulleri
12 Novembre 2021
Con l’avvento di Draghi quella finestra si è chiusa e, complice il taglio dei parlamentari, nessuno ha voglia di riaprirla. Stessa strategia di Calenda, presso cui in diversi sono andati a bussare. E se alcuni, con un solido patrimonio di consensi o di reddito, sono già più fuori che dentro – vedi Giacomo Portas, che alle comunali di Torino s’è permesso il lusso di escludere Iv dalla lista dei moderati a sostegno di Stefano Lo Russo – altri ci starebbero pensando.
A palazzo Madama, oltre a Grimani, anche Mauro Marino è dato in fase di riflessione. Mentre a Montecitorio sono in sofferenza Camillo D’Alessandro, Gianfranco Librandi, Massimo Ungaro (che, eletto all’estero, non avrebbe nessuna possibilità di essere riconfermato), Maria Chiara Gadda e l’ex grillino Catello Vitiello. Tutti consapevoli che, con chiunque Italia viva deciderà d’allearsi, i pochi seggi sicuri sarebbero tutti appaltati ai fedelissimi: oltre a Renzi, potrebbero tornare in Parlamento giusto Boschi, Bonifazi e Rosato, forse Faraone e Nobili. Perfino Marattin e la Bellanova sarebbero a rischio.
Avranno il coraggio di fare il grande passo? Secondo Renzi no: “È esattamente lo stesso giochino dell’altra volta sul Conte 2”, dice partecipando al festival de Linkiesta, quando “dicevano che dieci parlamentari avrebbero lasciato e con questo si sarebbero creati i numeri di una maggioranza diversa. Io non lo so se dieci parlamentari se ne vogliono andare oggi, l’altra volta non se ne sono andati e fatemi dire grazie a tutte e a tutti i parlamentari di Italia viva, perchè grazie a loro abbiamo retto”.
E anche la deputata Maria Elena Boschi ci tiene a precisare che “Italia Viva sta creando la casa comune dei riformisti e dei liberali in Europa e in Italia. E a dispetto delle ricostruzioni interessate saremo decisivi per il Quirinale come lo siamo stati per la caduta di Conte e l’arrivo di Draghi. Anche perché per il Colle contano i voti e non le veline. A chi ci considera in difficoltà rispondo: ci vediamo alla Leopolda”.
Di sicuro, per i potenziali fuoriusciti, la prospettiva di confluire nel magma indistinto del gruppo Misto è tutt’altro che allettante. Ma potrebbe rappresentare l’ultima chance per sfuggire alla dissoluzione renziana. Regalando infine una sola certezza: se la fronda avrà successo, per il senatore di Rignano sarebbe un bruttissimo colpo, tale da rimpicciolire assai l’ambizione di giocare da protagonista il big match del Colle.