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Addio a Sassoli, tra i politici in fila alla camera ardente un solo pensiero: “Per il Quirinale ci vorrebbe uno come lui”

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La prima chiama per il Quirinale è tra dieci giorni, ma è intorno e ai piedi di questa bara di legno chiaro che lo spirito della Repubblica inizia a incarnarsi. Come se David Sassoli, questa “persona perbene”, come lo definisce con una sola voce la folla di romani in fila, desse corpo con la sua storia e le sue battaglie all’aspirazione di tutti i presenti. Emanuele Fiano se lo lascia scappare dalla bocca, appena sfilato per le condoglianze davanti alla moglie Alessandra Vittorini e ai figli Livia e Giulio. “David sarebbe stato un grande capo dello Stato”.

La politica e i politici, spesso distanti, cinici, sovente mediocri, talvolta impresentabili, per un giorno sembrano diversi. In questa bolla di commozione e dolore, il tempo è sospeso e l’esempio di Sassoli sembra incanalare questa energia rendendo tutti migliori. Il più lesto a interpretare il sentimento repubblicano è Gianni Letta, che da settimane sta cercando di dissuadere il Cavaliere dall’impresa quirinalizia. “Il clima che si respirava l’altro giorno quando è stato commemorato David Sassoli in Parlamento era straordinario, di serenità e di armonia, di desiderio da tutte le parti di contribuire a guardare agli interessi del Paese e non alle differenze di parte”, dice Letta mentre si vanta di essere stato il primo direttore di Sassoli giornalista. In tutti i conciliaboli, in tutti i fugaci incontri che animano questa camera ardente, si sussurrano le stesse parole. Ci vorrebbe uno come Sassoli. L’unico nome che mette tutti d’accordo, l’unico capace di tenere (costringere?) Draghi a rimanere al suo posto, l’unico che riuscirebbe nell’impresa impossibile di tenere unita la maggioranza è Sergio Mattarella. Un cattolico democratico, di sinistra. Proprio come “David”. Amato anche dalla gente comune.

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Graziano Delrio, che appartiene a quel filone culturale, esce sulla piazza del Campidoglio e osserva la lunga coda di romani in fila per tributare l’ultimo saluto a “David”. Non a un vip, un attore o calciatore, ma un politico. Strano no, di questi tempi? “Il fatto è che il popolo ha una sua saggezza e si accorge quando uno è sincero. Sa distinguere tra politici e politici”. Certo, magari all’epoca lo candidarono per la sua popolarità, perché era un mezzobusto del Tg1. Matteo Renzi ricorda quando “nel 2009, nel momento per me più difficile, venne al ballottaggio a Firenze a darmi una mano. Andare per i mercati con Sassoli era una pacchia, la gente si accalcava”.

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Ma Sassoli era anche un uomo con una cultura politica dalle radici antiche, profonde. Il cardinale Dalla Costa, che fece serrare porte e finestre dell’Arcivescovado di Firenze e stabilì che il giorno della sfilata di Hitler e Mussolini tutte le chiese della città rimanessero chiuse. Giorgio La Pira, i preti di strada, Giuseppe Dossetti, Achille Ardigò, fino a Nicola Pistelli (il padre di Lapo), amico del padre di Sassoli, Domenico. “Nicola Pistelli – ricorda Renzi – era il cervello della sinistra Dc. Zaccagnini lo diceva: se fosse stato vivo “Nicolino” il segretario Dc sarebbe stato lui e non De Mita“. Memorie lontane. Il costituzionalista Stefano Ceccanti, sotto la statua del Marco Aurelio, riporta in vita uno dei circoli che videro la prima formazione politica di Sassoli, quella Lega Democratica che vedeva insieme Pietro Scoppola, lo stesso Ardigò, Paolo Prodi, Roberto Ruffilli. La politica con la maiuscola. Quella che fu anche di Aldo Moro. Il neo assessore alla cultura di Roma, Miguel Gotor, intabarrato al freddo in fila tra i tanti, rammenta l’ultima conversazione con Sassoli: “Mi confidò che spesso, alle feste romane dei giovani cattolici, si presentava sul tardi proprio Moro. Da solo, senza scorta. Per ascoltare e parlare con quei ragazzi”. David Sassoli, anzi David Maria, in memoria di Turoldo, filosofo, poeta, prete, antifascista. L’ambasciatore Luigi Solari stringe la mano alla vedova e verga sul registro delle presenze una poesia bellissima proprio di Turoldo: “Cristo sparpagliato per tutta la terra, Dio vestito di umanità”.

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Arrivano tutti. Anche gli avversari. I tempi non sono più quelli di Almirante a Botteghe Oscure per i funerali di Berlinguer. Ma fa comunque effetto vedere Salvini e poi Meloni e Tajani, Bernini, Francesco Giro e tanti altri. È quello spirito di concordia che, per l’appunto, coglie lesto Gianni Letta. E che sembra allontanare e scacciare come un cattivo pensiero candidature troppo di parte, che riaprirebbero ferite in un Paese che ha bisogno di cure. Candidature laceranti come quella di Berlusconi. Nel frattempo entrano tanti, tantissimi del Pd. Il sottosegretario Enzo Amendola ha le lacrime agli occhi. Il segretario Enrico Letta lunedì a Bruxelles pronuncerà l’orazione laica per il presidente del Parlamento europeo. I socialisti spagnoli hanno mandato una corona di rose rosse: “Hasta siempre, querido amigo”. Anche Nancy Pelosi, la presidente della Camera bassa Usa, ha mandato la sua. Fa effetto vedere alcuni dirigenti dem – Fedeli, Pinotti, Stefàno, Marcucci, Bini, Porta – schierarsi tre a tre ai lati del feretro. Sostano qualche minuto sull’attenti, come un picchetto d’onore. Uno dei momenti più commoventi della giornata.

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Gualtieri, con la fascia tricolore, non sta fermo un attimo. Sfida il gelo della mattinata romana senza cappotto, accogliendo sulla soglia prima Mattarella e poi Draghi, quindi Franceschini, D’Alema, Veltroni e tutti gli altri. Li accompagna uno alla volta dalla famiglia, come un amico di casa. Davanti alla bara, con il ritratto di Sassoli e la bandiera europea, Gualtieri sospira: “Sì, sarebbe stato un ottimo sindaco di Roma”. E invece Roma, o meglio i boss del partito romano, all’epoca gli voltarono le spalle preferendogli Ignazio Marino. Sassoli arrivò secondo alle primarie, Gentiloni (sostenuto da Renzi, che allora contava poco e nulla) terzo. Chissà come sarebbe andata la storia se avesse vinto Sassoli, chissà se ci sarebbe stata Raggi. “Nel partito romano – rivendica oggi Matteo Orfini – a sostenere Sassoli eravamo in pochi”. Quella Roma che nove anni fa gli preferì Marino, sfila tutto il giorno sulla scalinata del Campidoglio fin dentro la sala della protomoteca. Carlo: “Siamo un gruppo di ex scout e siamo qui perché Sassoli era uno di noi. Abbiamo vissuto le stesse esperienze. Io lo incontrai a una manifestazione per l’accoglienza dei migranti a piazza Esedra e mi fece un’ottima impressione”. Maria Pia, capelli bianchi anche lei: “Una grande persona che ha combattuto per grandi ideali. Io l’ultima volta l’ho incontrato dal macellaio al trionfale, in fila come tutti. Bastava il sorriso…il suo viso”.       

Da Capena, 40 chilometri dalla Capitale, si è fatta accompagnare in auto Lucia Tomassetti, 91 anni, l’ultima sopravvissuta tra i reduci del bombardamento di San Lorenzo. Dà il braccio alla sorella Elvira, nell’altra il bastone. Ci teneva a esserci: “Con lui ci sentivamo protetti in Europa”.

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