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Ancona – Le orate dalla Tanzania, i pangasi dal Vietnam, le seppie dalle Seychelles. All’alba di lunedì quando, dopo una notte di blocco, i pescatori hanno deciso di consentire lo scarico della merce in arrivo da terra, ordinata dalle cooperative di commercianti, Fedele Cianfrini non credeva ai suoi occhi. “Quando hanno cominciato a tirar fuori le cassette dai Tir, sui cartellini rossi erano segnate queste provenienze. Non è solo congelato, provate a immaginare da quanto tempo è in viaggio quel prodotto e quante “polverine” devono averci messo dentro”.
Non solo quello dei vicini diretti concorrenti, Croazia, Francia, Grecia, Spagna, Tunisia: quello che si trova sui banchi delle pescherie italiane, dei mercati, dei supermercati italiani è pesce che arriva dall’altra parte del mondo. Di pesce fresco, non se ne trova da settimane. Ad Ancona i pescherecci sono fermi da 15 giorni, così come quelli della marineria dell’Adriatico, della Puglia e, a singhiozzo, degli altri porti italiani: il caro gasolio ha dato un colpo mortale a un comparto che lamenta di essere stato totalmente abbandonato e di non aver ricevuto neanche i fondi già previsti: dal fermo biologico del 2021 al rimborso del 20 % sul credito di imposta. “Spiccioli che ci avrebbero comunque permesso di pagare qualche debito e allungare l’agonia”, dice Walter Mobili, 33 anni, da 18 al lavoro sui pescherecci.
Con il gasolio a 1,20 al litro, nessun peschereccio riesce a uscire in mare senza accumulare debiti a ogni battuta di pesca. E le richieste delle marinerie al governo di intervenire per abbassare il costo del carburante sono rimaste finora lettera morta. Il tavolo aperto al ministero non promette nessuna soluzione a breve periodo. E così, i pescatori hanno deciso di protestare a oltranza finché saranno in grado di resistere. A Manfredonia, da sabato mattina oltre 200 imbarcazioni bloccano l’imboccatura del porto, ieri è stata fatta passare solo la nave che porta l’acqua alle isole Tremiti. La Regione Puglia ha deciso di stanziare 3 milioni di euro come contributo straordinario da dividere tra tutti i pescherecci pugliesi. A conti fatti, circa 2.000 euro a barca: non basta neanche a fare un pieno.
A fare i conti è Apollinare Lazzari, presidente dell’Associazione produttori pesca di Ancona e leader della protesta delle marinerie afriatiche: “Provo a rendere l’idea. La mia barca, 27 metri, 7 uomini di equipaggio, con il gasolio a questo prezzo consuma mediamente 4.000 euro di carburante al giorno, a cui devono aggiungersi 1.000 euro di altri materiali e circa 2.000 euro di costi di personale: insomma, 6.500-7.000 euro al giorno. Capite bene che possiamo solo andare in profondo rosso. Quanto pesce dovrei tirar su ogni giorno? Anche perché il prezzo del pescato mica lo facciamo noi, si fa all’asta ogni mattina, dalle tre alle sette, al mercato. E i nostri concorrenti non hanno questi costi: i greci pagano il carburante la metà di noi, come Spagna e Francia. E in Croazia possono pescare 24 ore al giorno, tutti i santi giorni”.
Anche il mercato ittico è chiuso da 15 giorni ad Ancona. Sulla facciata, due striscioni tirati su dai figli dei pescatori: “La pesca è ferma, non riusciamo a lavorare. Dov’è il governo? Dove sono le istituzioni?”. Una disperazione accresciuta dal fatto che qui, come altrove, la pesca è questione di famiglia e in casa non ci sono redditi che arrivano da altre attività. Sull’Ariete, Renato Caldaroni, 51 anni, lavora con i suoi due figli, Loris e Mirko, mentre alla sorella Patrizia tocca il compito, ogni mattina alle tre, di prendere il pesce appena sbarcato e venderlo al mercato ittico. “È un lavoro che ci tramandiamo da generazioni, quello che abbiamo ce l’hanno lasciato i nostri nonni e i nostri padri. In altri Paesi la pesca è sostenuta con tante agevolazioni, qui se l’Ariete non gira non mangiano quattro famiglie”.
In tanti hanno investito in questo lavoro e sulle loro barche: “Quest’estate ho speso almeno 25.000 euro e mi ritrovo ancora con tante cose da pagare – dice Fedele Cianfrini – non c’è solo il gasolio: ai marinai lo stipendio glielo davi dare lo stesso anche se non esci e sono 1.200 euro al mese, sono aumentati tutti i materiali, persino le cassette di polistirolo. Io non voglio soldi dallo Stato, voglio solo abbassato il gasolio, chiedo di poter lavorare”. E non si dà pace Marino Gaetani, 58 anni: “Una vita di sacrifici, uscire tutte le domeniche a mezzanotte e rientrare il giovedì. Per i nostri due figli io e mia moglie sognavamo un altro futuro. Eravamo riusciti a farli diplomare e specializzare come cuochi, uno aveva anche trovato lavoro in un hotel, a Milano, ma alla fine hanno deciso di seguire il mestiere di famiglia e salire in barca con me. Io sto per andare in pensione ma loro, mi chiedo, che futuro avranno?”.