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Alluvione Marche, un cavillo burocratico bloccò il cantiere sul Misa. “L’esondazione si poteva evitare ma il fiume è stato abbandonato a se stesso”

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Un tentativo per salvare il Misa da un’esondazione devastante, come quella del 2014 e quella del 15 settembre scorso, era stato messo a punto dal Consorzio Bonifica delle Marche. Un progetto presentato nel 2019, approvato nel 2020 e bloccato nel 2021. Tempo e soldi sprecati per un cavillo legato alla natura dei materiali da estrarre dal fiume. Il Misa è rimasto un torrente con cumuli di ghiaia e argilla nel suo fondale alti anche un metro. Un’inchiesta della procura e un ricorso al Tar di Ancona, ancora in corso, e, intanto, alla foce del fiume abbandonato si è formato un tappo. Repubblica è entrata in possesso di una foto che mostra la situazione fino a qualche giorno fa, prima che l’esondazione trascinasse con sé tutto ciò che incontrava.

Lavori ‘d’urgenza’

Nel progetto presentato nel 2019 dal Consorzio Bonifica delle Marche i lavori erano stati definiti “d’urgenza” e iniziarono il 7 dicembre del 2020. Riguardavano un chilometro, quello finale, del Misa: dal ponte ferroviario e fino alla foce. L’allarme lanciato dal Consorzio era chiaro: “C’è il pericolo per Senigallia, per i comuni vicini e per i loro abitanti nell’ipotesi non remota di esondazione del fiume Misa nel tratto urbano”. Lo stop alle ruspe poco più di un mese dopo, il 26 gennaio del 2021 da parte dell’Arpam per un cavillo legato alla salinità del sedime, superiore di 150 milligrammi per chilo rispetto al tetto massimo di 400 milligrammi. Quel materiale era già stato trasportato in una cava in provincia di Pesaro-Urbino.  

Sotto inchiesta è finito il presidente del Consorzio, Claudio Netti e il titolare della ditta che aveva iniziato i lavori. La procura di Ancona ha iscritto sul registro degli indagati Netti per “aver abbancato rifiuti non pericolosi senza autorizzazione”. “Il processo l’affronto con serenità – dice Claudio Netti – ma fa rabbia, adesso, pensare che il fiume è stato abbandonato al destino che conosciamo”. E sostiene: “Se avessimo concluso i lavori, la sera del 15 settembre l’acqua non avrebbe toccato il ponte II Giugno”. Ai lati del ponte le botteghe storiche di Senigallia sono state distrutte dalla piena con danni per milioni di euro.

Le foto del fiume con i cumuli di ghiaia e argilla alla foce e sugli argini del Misa pochi giorni prima dell’esondazione del 15 settembre mostrano un “tappo” alla foce. Una la pubblica su Facebook un cittadino. Che scrive a corredo: “Una settimana prima avevano fatto alcuni lavori ma in maniera inadeguata, si sono limitati a spostare i sassi”.

Polemiche su polemiche si rincorrono per la mancata pulizia del letto del Misa e di quello del Nevola. Molte sono contro il Consorzio Bonifica che viene pagato mensilmente dai residenti.  

La burocrazia che uccide

Sta di fatto che il progetto del Consorzio per ripulire il Misa era stato presentato alla Regione Marche, all’Arpam e al comune di Senigallia, e aveva avuto anche l’avallo del ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare. Il lavoro era di “escavo”, come si dice in gergo, nel tratto che va dal ponte della Ferrovia e fino alla foce. I lavori avrebbero ridotto il rischio esondazioni. Ma per l’Arpam di Pesaro quel sedime ha una salinità eccessiva e quindi il materiale è da considerarsi marino e, come tale, non può essere utilizzato a terra. Tanto da essere definito rifiuto che il Consorzio avrebbe riversato, senza autorizzazioni a Cartoceto, in provincia di Pesaro-Urbino, e non nel territorio dell’intervento. Nei risultati di laboratorio del Consorzio, invece, risulta che il sedime è non inquinante e si può riutilizzare per la realizzazione di zone verdi. Il Consorzio, nel marzo 2021, ha presentato ricorso al Tar di Ancona contro l’Arpam, un procedimento ancora pendente.

Nel 2021 sono arrivati anche i finanzieri per sequestrare i 5mila metri cubi di materiali già recuperati dal Consorzio, adesso sono depositati in una discarica per rifiuti speciali. Il Consorzio Bonifica aveva previsto di toglierne almeno dieci volte tanto: 50mila metri cubi. Sarebbe bastato per salvare il centro di Senigallia e, in una reazione a catena, evitare anche le vittime? Non si saprà mai ma forse quel lavoro per un milione e 582 mila euro (finanziato dal Por Fesr 2014-2020) avrebbe ridotto le conseguenze del disastro.

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