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“Fate presto. Per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla”. Il celebre titolo del Mattino, tre giorni più tardi, restituirà la dimensione immane della tragedia. E dei ritardi nei soccorsi. La sera del 23 novembre 1980 in Irpinia la terrà tremò per 90 secondi, cancellando interi paesi e devastando tre provincie in particolare (Avellino, Salerno e Potenza). La scossa – magnitudo 6,9 – colpì un’area vastissima e causò danni anche a Napoli, dove crollò un palazzo. In tutto morirono quasi tremila persone.
Fu anche un terremoto politico. “Tutto il Paese seppe unirsi e, come è accaduto in altri momenti difficili, l’impegno comune divenne la leva più forte per superare gli ostacoli”, ha ricordato il presidente Mattarella in occasione del quarantennale. Ma è anche vero che il disastro rese tragicamente evidente l’inefficienza della macchina dei soccorsi, come denunciò in tv il capo dello Stato di allora, Sandro Pertini: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”. E la lunghissima fase della ricostruzione è diventata uno degli esempi peggiori di speculazione su una tragedia.