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«L’animo di una donna è come una casa piena di stanze: c’è l’ingresso, dove tutti possono passare, c’è il salone, dove si ricevono le visite formali, c’è il soggiorno dove la famiglia va e viene. Ma oltre a tutto questo ci sono altre stanze, che hanno maniglie che non vengono mai aperte, nessuno sa come arrivarci e in quella più interna – la più sacra – l’anima siede solitaria e aspetta dei passi che mai arriveranno». Il 24 gennaio del 1862, in un’elegante dimora sulla 23esima strada, a Manhattan, nasceva Edith Wharton, che dell’animo umano è stata formidabile scandagliatrice.
Tra le più grandi scrittrici americane, nel 1921 fu la prima donna a vincere un Pulitzer con quello che è considerato il suo capolavoro: L’età dell’innocenza. Il romanzo è uno spietato ritratto dell’alta società newyorchese dell’Ottocento – la Gilded Age – ipocrita, ossessionata dalle convenzioni e dall’assedio dei “nuovi ricchi” (e i Trump erano ancora lontani…). Ne rimane schiacciato il protagonista Newland Archer, che sceglie di non consumare l’amore adulterino con Madame Olenska, salvo poi rimpiangerla per il resto della vita. Dal libro, nel 1993, Martin Scorsese ha tratto uno dei film in costume più belli degli ultimi decenni, con Daniel Day-Lewis e Michelle Pfeiffer.