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Da giorni Giuseppe Verdi era in fin di vita nel suo appartamento al Grand Hotel et De Milan, non lontano dalla Scala. Tale era l’affetto collettivo per il grande vegliardo della musica italiana che le strade intorno alla sua residenza erano state cosparse di paglia, in modo che il rumore delle carrozze non lo disturbasse. Il compositore morì, a 87 anni, nelle prime ore del 27 gennaio del 1901.
Un mese dopo, oltre 300mila milanesi seguirono il corteo che accompagnò il suo feretro dal Cimitero monumentale alla cripta della Casa di riposo per musicisti, da lui fondata e che ancora oggi porta il suo nome. L’anno prima della morte, gli avevano anche proposto di intitolargli il conservatorio cittadino. Ma Verdi non aveva mai dimenticato la cocente delusione di tanti anni prima, forse la peggiore della sua vita: quando, appena 18enne, era stato respinto da quello stesso conservatorio (per la mano giudicata male impostata sul pianoforte). E così il maestro aveva declinato, pare rispondendo: «Non mi hanno voluto da giovane, non mi avranno da vecchio». Alla fine, una volta defunto, il conservatorio gliel’hanno intitolato lo stesso. Per fortuna, nel 2014, l’istituto ha inaugurato una mostra permanente per “fare ammenda”, intitolata La mano, l’Errore, il Trionfo…