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“Il mormorio del fiume è certo più bello di quello delle grandi fontane di San Pietro”, scriveva Sandro Penna, che le sponde del “biondo” le amava e le frequentava parecchio. Ma il Tevere ha anche un passato catastrofico. Era il 1870, Roma era stata unita all’Italia da soli tre mesi, ed ecco l’amaro risveglio: i nuovi governanti si accorsero che la tanto anelata città era un luogo arretrato di secoli, non solo dal punto di vista socioeconomico ma anche infrastrutturale. Il Tevere aveva la seccante abitudine di straripare di continuo e non c’era nulla che glielo impedisse.
Il 28 dicembre di quell’anno ci fu una piena eccezionale: oltre 17 metri, un livello mai più raggiunto. Re Vittorio Emanuele II accorse due giorni dopo per valutare di persona il disastro. E si convinse della necessità di costruire degli argini adeguati, cosa che fu realizzata nei decenni successivi. I muraglioni hanno ingabbiato per sempre il fiume e non sono mai piaciuti ai più – e in effetti belli non sono. Ma, da quando esistono, la città non è stata più inondata.