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La medaglia d’oro va alle donne giovani sia vaccinate che guarite da un contagio. All’ultimo posto troviamo invece anziani, obesi e fumatori. La classifica di chi ha più anticorpi contro il Covid è molto variegata. Età, sesso, peso corporeo e dipendenza dal tabacco sono i fattori che fanno guadagnare e perdere punti. Anche se parliamo degli immunodepressi come unici destinatari – per il momento – della quarta dose, la categoria di chi non risponde in modo ottimale al vaccino è più ampia, e potrebbe in futuro portare a nuove decisioni sulla somministrazione dell’ulteriore richiamo.
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La classifica degli anticorpi nasce dallo studio inglese React, condotto dall’Imperial College, che tra gennaio e maggio 2021 ha misurato la presenza di anticorpi in 212mila persone vaccinate con Pfizer (circa un terzo del campione) o AstraZeneca. I risultati sono pubblicati su Nature Communications. Dopo la seconda dose di Pfizer, oltre il 90% delle persone mostra di aver prodotto anticorpi, ma la percentuale scende all’86,5% fra gli ultra 75enni. Alcune malattie rendono l’immunizzazione più debole: diabete sia di tipo uno che due, insufficienza renale o epatica, problemi ai polmoni o neurologici, cancro e perfino un disturbo psichiatrico come la depressione. Le malattie del cuore o l’ipertensione non compromettono invece l’efficacia del vaccino.
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La risposta del sistema immunitario delle donne è più forte rispetto agli uomini per diversi tipi di vaccini. Quello contro il Covid non fa eccezione, anche se le cause non sono chiare. L’effetto si mantiene in tutte le fasce d’età, segno che alla base probabilmente non ci sono questioni ormonali. Né è chiaro se il fenomeno sia legato alle “differenze di genere” che il Covid sembra fare, colpendo di più gli uomini con le forme severe e le donne con quelle durature come il long Covid. Lo studio dell’Imperial College conferma poi un’osservazione che diventa sempre più chiara con il tempo. Chi ha subito un’attivazione del sistema immunitario dovuta sia alla vaccinazione sia a un contagio ha più anticorpi rispetto a chi ha avuto solo l’una o l’altro.
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Il conteggio degli anticorpi, avvertono i ricercatori, non indica con precisione quanto si è protetti dal contagio. Solo una quota degli anticorpi rilevati dai test – quelli neutralizzanti – blocca infatti il coronavirus. Non è chiaro nemmeno quale sia il loro numero minimo in grado di evitare un’infezione. Né attraverso gli esami comunemente a disposizione si può misurare la risposta degli altri attori del sistema immunitario. Dagli studi di laboratorio, spiega lo studio inglese, si osserva che i linfociti T che distruggono le cellule infette restano attivi almeno 6-8 mesi dopo il vaccino o il contagio, mentre i linfociti B sembrano proteggere per un anno. La protezione potrebbe essere più lunga di quei 3-4 mesi in cui gli anticorpi restano ai livelli massimi, ma le indicazioni che abbiamo oggi rendono improbabile che la sua durata superi un anno.
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