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ROMA – Una riunione estenuante, cominciata alle 15,30 e terminata dopo sei ore, con una ripromessa: rivediamoci domattina (cioè stamani ndr), sarà meglio. Non sono quindi bastati i lavori di mediazione e contromediazione per arrivare a un testo di maggioranza che potesse dare un’immagine di unità del Paese e garantire tutte le parti: la stabilità e la prosecuzione del governo, la libertà di manovra di Mario Draghi in campo internazionale e la richiesta dei gruppi parlamentari — specie i 5 Stelle, ma non solo — di veder riconosciuto un proprio coinvolgimento. La menzione di un piano di pace e di un impegno per la de-scalation nella risoluzione al M5S infatti non bastava.
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di
Serenella Mattera e Matteo Pucciarelli
La proposta di testo finale della risoluzione avanzata da Palazzo Chigi recitava: «Impegna il governo a continuare a garantire il coinvolgimento delle Camere, secondo le procedure previste dal decreto legge 14/22, in occasione dei più rilevanti summit riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le forniture militari». Ma il riferimento alle “procedure previste” dal decreto Ucraina, dove è inserito un aggiornamento alle Camere ogni tre mesi, non andava giù al Movimento e a Leu. Una posizione che avrebbe fatto breccia anche nell’ala più pacifista del Pd. Ci ha provato il senatore di LeuFederico Fornaro ad ammorbidire il punto con un più generico “secondo le procedure definite dalla normativa vigente”. Ricevendo resistenze opposte.
Il testo della maggioranza già pronto comunque comprende anche altre questioni, come la richiesta di adesione dell’Ucraina all’Ue, il Repower Eu sull’energia, gli interventi per famiglie e imprese messe in difficoltà dalla crisi e la revisione del patto di stabilità. Il punto è che sulla vicenda Ucraina il M5S si sta giocando un pezzo di credibilità, sia sul fronte governativo che su quello, altrettanto insidioso, del consenso: da settimane il profilo pacifista del partito viene enfatizzato, ma alle parole occorrerebbe far seguire i fatti. Così dopo un’altra attesa di varie ore, visto che il Consiglio nazionale del partito era terminato nella notte fra domenica e lunedì, il M5S aveva diramato un lungo comunicato per ribadire la richiesta di “un più pieno coinvolgimento del Parlamento con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l’eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari”.
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di
Matteo Pucciarelli
Nessun riferimento ad un no a nuove armi, che come detto era un po’ la battaglia identitaria di Giuseppe Conte; e che, vista la strada in salita nelle trattative, si è limitata ad una più abbordabile richiesta di una sorta di controllo parlamentare. Il problema è però destinato a ripresentarsi a breve, visto che nella bozza del prossimo Consiglio europeo in programma dopodomani si parla di un “ulteriore sostegno militare all’Ucraina”, con l’obiettivo di aiutarla ad “esercitare il suo diritto all’autodifesa”. Trattandosi di una bozza non è detto che il punto rimanga, ma a livello europeo ci sarebbe una larga condivisione. Inoltre in queste settimane Draghi ha fatto intendere più volte di essere contrario a eccessive “ingerenze” parlamentari attorno a un quadro in rapido mutamento e che richiede per questo motivo una certa autonomia.
Ospite di Metropolis su repubblica.it, la vicepresidente dei 5 Stelle Alessandra Todde ha spiegato di aver votato il decreto Ucraina, il cui riferimento ha fatto scattare la bagarre nella riunione di maggioranza e con il governo, “perché il contesto iniziale nessuno lo discute. Ma stiamo parlando di un conflitto che durerà anni, è importante che nei passaggi chiave che ci possa essere un passaggio parlamentare”. Da Parma invece Matteo Salvini, riferendosi alla querelle in corso tra i 5 Stelle e Luigi Di Maio, fa notare che “avere un ministro degli Esteri sconfessato dal suo partito, con una guerra in corso, non è il massimo della vita”. Al di là insomma del voto odierno al Senato le fibrillazioni interne al Movimento rischiano di tracimare, il passaggio odierno a Palazzo Madama dirà quanto velocemente.