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Ogni giorno inaliamo circa 12 mila litri di aria, ovvero 500 all’ora, un volume che equivale a quello di una capiente piscina. Questo atto così naturale, che spesso diamo per scontato, può diventare complicato per molte persone: succede ai circa 3 milioni di italiani che soffrono di asma bronchiale, una malattia infiammatoria delle vie aeree caratterizzata da una broncocostrizione, cioè da un restringimento del calibro dei bronchi.
«Anche se al momento non esiste una cura definitiva, le moderne terapie anti-asmatiche consentono ai pazienti di vivere una vita del tutto normale», spiega il dottor Valter Brossa, responsabile dell’Ambulatorio di Pneumologia presso Humanitas Cellini e Humanitas Gradenigo a Torino.
«Basti pensare che è asmatico l’ex mezzofondista britannico Steve Ovett, campione olimpico degli 800 metri piani ai Giochi di Mosca nel 1980, che vinse i 5000 metri piani ai Giochi del Commonwealth di Edimburgo nel 1986. Asmatica è anche Federica Pellegrini, considerata la più grande nuotatrice italiana della storia, così come lo è Miguel Indurain, leggenda vivente del ciclismo spagnolo che ha vinto cinque Tour de France negli anni Novanta. Ma sono tanti altri gli sportivi professionisti che combattono contro l’asma per gareggiare ai massimi livelli».
Quali sono i sintomi dell’asma bronchiale
In questa patologia, i bronchi diventano ipersensibili a stimoli di varia natura (irritativi o psicologici), si “chiudono” per reazione e rendono difficoltoso il normale passaggio dell’aria.
«Ne derivano quattro sintomi tipici: tosse, respiro corto, respiro sibilante e senso di oppressione al torace», evidenzia l’esperto.
Quali sono le cause dell’asma bronchiale
Nonostante sia una patologia ben nota, non se ne conoscono perfettamente le cause: i ricercatori ritengono che, alla base, esista una predisposizione genetica su cui vanno ad agire alcuni fattori scatenanti o aggravanti, come l’allergia ad allergeni dispersi nell’aria (pollini, prodotti di fioritura delle piante, polvere, peli di animali, etc), l’esposizione domestica o lavorativa a sostanze irritanti (vernici, fumo di sigaretta ed e-cig, etc), ma anche gli sforzi fisici, la respirazione di aria fredda, il reflusso gastroesofageo, l’allergia non conosciuta ad alcuni farmaci (come l’aspirina e gli antinfiammatori), stress ed emozioni intense.
«Un fenomeno molto simile all’asma accompagna la maggior parte dei neonati, che presentano spesso un respiro sibilante, wheezing in inglese», descrive il dottor Brossa. «Anche in questo caso c’è una broncocostrizione su base infiammatoria, che porta alla cosiddetta bronchite asmatica, non così rara neppure nella popolazione adulta».
Come si arriva alla diagnosi dell’asma bronchiale
La diagnosi di asma bronchiale si basa innanzitutto su un’anamnesi approfondita, che indaga la presenza, la frequenza e l’intensità dei sintomi, oltre agli eventuali fattori di rischio e all’eventuale predisposizione famigliare.
«Deve seguire un esame obiettivo, auscultando schiena e torace del paziente mentre è impegnato a eseguire respiri profondi per rilevare vibrazioni e sibili», precisa il dottor Brossa. «L’indagine può ulteriormente essere approfondita con la valutazione strumentale della funzione polmonare: l’esame più semplice è la spirometria, dove il paziente deve soffiare attraverso un boccaglio monouso per misurare la capacità respiratoria. E poi ci sono i test allergologici, qualora si sospetti l’implicazione di qualche cibo o sostanza».
In base alle caratteristiche, l’asma viene poi classificata in quattro livelli di gravità: intermittente, lieve persistente, moderata persistente e grave persistente. Questa ripartizione è di grande importanza per la gestione iniziale della patologia, per quanto il decorso sia estremamente variabile nel tempo e abbia un andamento remittente-recidivante (in alcuni periodi si sta meglio e in altri si sta peggio).
Come si cura l’asma bronchiale
Nella maggioranza dei casi, il trattamento si basa sull’utilizzo di un dispositivo inalatorio in cui c’è la combinazione di due molecole, un corticosteroide e un broncodilatatore: il primo combatte l’infiammazione che sta alla base del problema, mentre il secondo sostiene l’esigenza del paziente di contrastare rapidamente i sintomi.
«A seconda del grado di severità della patologia, viene stabilita la posologia della terapia, che non va usata solamente al bisogno ma in forma cronica, in modo da tenere sotto controllo i sintomi e ridurre la frequenza e la gravità dei successivi attacchi», tiene a precisare il dottor Brossa.
Normalmente l’approccio avviene per gradi e secondo il livello di controllo della malattia. Viene considerata “controllata” un’asma in cui il paziente non presenti sintomi giornalieri (meno di due volte alla settimana), non abbia risvegli notturni, non subisca una limitazione delle proprie attività, non necessiti di farmaci al bisogno (meno di due volte alla settimana), abbia valori normali di funzione polmonare e non presenti riacutizzazioni. In caso contrario, si aumenta il dosaggio della terapia per poi ridurlo una volta mantenuto il controllo per almeno tre mesi.
Asma bronchiale, i nuovi approcci
In caso di asma grave, da qualche anno esistono nuove terapie che lavorano con meccanismi diversi rispetto a quelle classiche: si tratta di anticorpi monoclonali, che vanno ad agire in maniera mirata sulla cascata infiammatoria alla base della patologia.
Attenzione, invece, ai broncodilatatori β2-agonisti a breve durata d’azione (noti come Saba), che non andrebbero usati per più di due volte alla settimana: questi dispositivi non agiscono sull’infiammazione delle vie aeree e il loro uso regolare o frequente si associa a un aumento del rischio di riacutizzazioni.
«Nel caso di asma allergica, infine, il paziente potrebbe essere indirizzato verso l’immunoterapia specifica, una sorta di vaccino che induce una tolleranza stabile nei confronti di un allergene», ricorda l’esperto.
Conta la tempestività
È importante rivolgersi al medico curante al minimo sospetto, perché un’asma bronchiale non adeguatamente trattata rischia di evolvere in una forma grave.
Non basta. Uno studio pubblicato sul Journal of the American Heart Association ha dimostrato addirittura una correlazione fra diagnosi tardiva di asma e problemi cardiaci, tra cui ictus e infarto. Dunque, meglio correre ai ripari.
Un progetto integrato
Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, il 10% degli italiani con asma (circa 300 mila persone) manifesta una forma grave della malattia. Per questi pazienti, è arrivata la proposta di un nuovo percorso terapeutico integrato, presentato a Palazzo Pirelli a Milano.
Già presente in Piemonte e in Toscana, adesso il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) arriva anche in Lombardia e punta a superare la gestione compartimentale della patologia, dalla presa in carico iniziale del paziente fino al follow-up.
L’asma grave, infatti, non deve essere trattata solo come una malattia polmonare, ma anche come una patologia che incide su vari aspetti della vita, per cui occorre una gestione personalizzata. In particolare, le visite di controllo costituiscono un’analisi complessiva che coinvolge vari professionisti, esperti nella gestione degli effetti collaterali delle terapie e di problematiche concomitanti, come il reflusso gastroesofageo, l’osteoporosi, l’obesità, disturbi psicologici e reumatologici.
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