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Ballottaggi, nei vicoli di Verona Tommasi prova il più mancino dei tiri

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VERONA – “Eccolo”, dice una signora con la maglietta gialla e la scritta “Tommasi sindaco”. Damiano Tommasi arriva a passo veloce, maglietta verde alla Zelensky, jeans e scarpe da ginnastica consumate. Piovono applausi. Ogni mattina il candidato sindaco del centrosinistra a Verona percorre le strade di un quartiere della città. Ieri era il turno di San Michele Extra. Ci passa la ferrovia, case basse, palazzine tirate su negli anni del boom, un tempo gli operai lavoravano alla Tiberghien e alla Mondadori, vi era una grande sezione del Pci, nella delusione, come in ogni periferia, la gente si è votata alla protesta e alla Lega.

Ma il 12 giugno il centrosinistra ha vinto in sei circoscrizioni su otto, e il Pd a San Michele è tornato a essere il primo partito. Gli anziani si affacciano ai balconi e gli urlano allegri: “Damiano mi te voto”. Agli incerti un signore del gruppo con le magliette gialle dice invariabilmente: “Fa’ pulito”, fai il bravo. “Questi sono sicuri”, assicura di quattro uomini seduti in un bar con davanti un bicchiere di bianco. È anche il rione di Mario Corso, il grande fantasista dell’Inter, e ora anche a Tommasi è richiesto il più mancino dei tiri, come da titolo del libro di Edmondo Berselli.

L’avversario Sboarina

Federico Sboarina e Flavio Tosi, i suoi avversari, per molte settimane lo hanno descritto come “un bravo ragazzo”, uno alle prese con un compito più grande di lui. Poi hanno capito che si sbagliavano. Visto da vicino Tommasi in effetti appare più complesso, più enigmatico di quel che ci si potrebbe aspettare. È molto silenzioso. Un uomo serio e concentrato sulla sua missione, come quando il nonno Alfonso lo portava nei boschi di Sant’Anna Alfaedo, il paese della Lessinia dov’è cresciuto, a spaccare la legna. Un tizio in bicicletta ferma la piccola carovana gialla per dire che se lo ricorda Damiano bambino: prima di un Audace-Sant’Anna gli chiese se avrebbe giocato, e Damiano rispose “dipende se il mister mi convoca”. Sorride di fronte a quel vecchio frammento, ma senza pose attoriali. “È un montanaro”, commentano quelli del gruppo. In tre ore non concederà neanche mezza ruffianeria, né promesse, non ha voluto spot, manifesti e comizi. La campagna è lui, Damiano.

Si mette subito in testa al gruppo, è difficile stargli dietro. Quando lo fermano ascolta più che parlare. Per paradosso è proprio questa sua essenziale autenticità che deve indurre gli automobilisti a suonare il clacson quando lo scorgono, un tizio ferma l’auto, scende, pretende un selfie, nessuno dietro di lui protesta. Tommasi è più espansivo con i bambini e le persone in difficoltà, con gli altri è come se mantenesse una distanza. A uno che gli chiede di dilungarsi un po’ di più nei negozi risponde: “Primo ordine del giorno: non dare fastidio”.

Tommasi ha il voto giovanile e quello degli industriali

Insomma, è uno strano politico, eppure la sua lista ha preso il 16 per cento, la sua coalizione il 40, e tutti sanno che adesso è lui l’uomo da battere. Ha dalla sua il voto giovanile, quello del terzo settore, a cui vuole dedicare un assessorato, e anche quello degli industriali per i quali è “aria fresca”. Nel gruppo con le magliette gialle c’è di tutto, uomini in canottiera e signore eleganti. Cattolici come Luca Bianconi, 39 anni, il più votato nel rione, (“ho tre figli e tre lauree”), e Monica Saracino, 50 anni, “una Papa girl”, insegnante di lettere che ferma i ragazzi e consegna i volantini freschi di stampa. “Non avevo mai fatto politica finora”. E c’è anche Fabrizio Bellamoli, operaio in pensione, “mi chiamano Bombolo”, dice con aria piena di bonomia. “Vengo da Democrazia proletaria, ho ancora la tessera di Rifondazione, oggi Damiano per me è il cambiamento”. La deputata pd Alessia Rotta osserva la scena: “Damiano è uno di noi, questo capisce la gente”. Intanto è riuscito nel miracolo di riunire l’intero centrosinistra, citando l’amato don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia. Sortirne tutti insieme è la politica”. Quali sono le parole che ama, chiediamo a Tommasi. Risponde: “Solidarietà, inclusione, trasparenza, legalità, ascolto. Ascolto come metodo”. E che differenza c’è tra lui e Sboarina? “Io sono più giovane”, taglia corto con una battuta.

Tommasi con i suoi sostenitori (foto di Concetto Vecchio) 

La rete dei sindaci

Inizia a piovere. La gente impreca in dialetto. “Siamo a quattromila passi”, calcola una signora, rivelando il suo affanno. Molti tifosi dell’Hellas, che qui è una specie di religione, lo fermano; un signore gli dice che domenica andrà a votare con la maglia 17 che indossava nei suoi anni nel Verona. Passiamo davanti dalle case popolari. “Ecco, questi non li abbiamo conquistati, votano ancora a destra”, rivela Bianconi. “La verità è che i voti persi del passato erano colpa nostra”, ammette il consigliere comunale Stefano Valliani.

Oggi dovrebbe venire il sindaco di Milano, Sala, Covid permettendo. Tommasi non ha voluto leader, ma solo amministratori con cui spera di fare rete: Nardella, Gori, Bonaccin. A 9000 passi il gruppo si è sfilacciato, Tommasi entra in un bar e ordina un caffè ristretto. Anche le due bariste gli dicono che voteranno per lui. Nel gruppo si sparge la voce che Sboarina ha fatto un video per dire che la città rischia di finire in mano a rom e clandestini. “Ma le campagne elettorali sono fatte per convincere gli altri con le tue idee, non per invitare a non votare gli avversari”, scrolla le spalle Tommasi. È ottimista per domenica? “Sì” risponde sicuro. Fa’ pulito, Verona.

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