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Intervista a Giuseppe Mayer, docente ed esperto di intelligenza artificiale, sul potenziale impatto che le nuove tecnologie hanno su giovani donne e adulte in termini di percezione della loro avvenenza.
Professor Mayer, ma come funziona l’intelligenza artificiale?
«Siamo convinti che l’intelligenza artificiale sia in grado di fare una serie di cose come se fosse un essere umano, quando in realtà è solo una macchina che ha delle caratteristiche particolari: non è un software ma una tecnologia probabilistica. Ossia, non abbiamo la certezza che facendo mille volte la stessa domanda, ci darà la stessa risposta. Di volta in volta, infatti, ci rimanda l’immagine che per lei è più corretta dal punto di vista statistico, in base alle informazioni (foto, video, testi ecc) ricevute. E se non ne ha a sufficienza, se le inventa di sana pianta».
Per esempio, se le chiediamo di creare l’immagine della donna più bella del mondo che succede?
«Questa tecnologia non è una bacchetta magica che dal nulla crea la donna più meravigliosa che sia mai esistita! Il 90 per cento delle sue risposte dipende dall’uomo: in poche parole, è stata educata con i nostri database e, perciò, si porta dietro tutti i pregiudizi che abbiamo dal punto di vista etnico, di diversità, di inclusività. Perciò, siamo noi in sostanza a decidere quale tipo di donna può essere ritenuta bella (o brutta) per età, appartenenza razziale e caratteristiche somatiche. Addirittura, abbiamo visto che è più difficile eliminare questi parametri dall’intelligenza artificiale che dall’essere umano».
Ne consegue che…
«Non dobbiamo fare lo sbaglio che si è verificato con i social, dove l’utente ha deciso da solo l’iconografia rappresentativa della bellezza. Quella che pretende di comandare sul mondo, con risultati disorientanti e dannosi nello scollamento tra virtuale e reale. Se anche con l’intelligenza artificiale manteniamo questa genericità di contenuti, il rischio di creare immagini irrealistiche e standard di bellezza irraggiungibili è molto forte».
Come si scompone il problema?
«Noi siamo alla guida di questa macchina, e tutto dipende da come teniamo le mani sul volante. Bisogna diventare coscienti che i risultati che l’intelligenza artificiale ci restituisce derivano dal 90 per cento da come formuliamo le nostre domande. Lei esegue solo quello che noi le abbiamo insegnato a fare. Ecco perché è fondamentale conoscere la sua grammatica e la sua lingua, che sono i prompt (immagini, testi, video ecc)».
Ci insegna come fare?
«È il dettaglio che fa la differenza tra un uso consapevole (e opportuno) e un uso indefinito (e falso) dell’intelligenza artificiale. Tanto più riusciamo a fare delle domande particolareggiate, aggiungere contesto, dettagli, informazioni rispetto a quello che vogliamo, più la macchina risponderà correttamente per aderire agli input richiesti».
Perché?
«Se diamo all’intelligenza artificiale gli elementi necessari a esprimere la complessità di un viso e un corpo femminile, l’output sarà sempre più completo e diversificato. E allora salteranno fuori riproduzioni di donne belle a 20 come a 60 anni, con il naso alla francese come alla greca, con il fisico asciutto come in carne».
L’intelligenza artificiale potrebbe diventare una boa di sicurezza?
«Il più grande vantaggio che porta l’intelligenza artificiale è un aumento di produttività, di efficacia. È in grado di analizzare e generare un numero maggiore di contenuti in molto meno tempo. A vantaggio di una quantità di “ritratti” di bellezza femminile senza limiti di casting».
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