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Bruno Tinelli: “Per mio fratello Fausto aspettiamo ancora giustizia. Dico grazie a La Russa”

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Diciott’anni avevano Fausto e Iaio. Diciotto mesi, quel 18 marzo 1978, era l’età di Bruno Tinelli, fratellino di Fausto che oggi, insieme a mamma Danila Angeli, è tornato a vivere in Trentino. Lì li ha raggiunti il discorso al Senato di Ignazio La Russa e da lì, nonostante un attacco di Covid, e dopo aver consultato anche Maria Iannucci – sorella di Iaio – Bruno decide di rispondere a nome di tutti e tre. Pronunciando parole inattese.

Bruno Tinelli, avete sentito?“Sì. E, al contrario di quello che ho letto e sentito in giro, delle tante reazioni indignate, noi non possiamo che essere grati a Ignazio La Russa. Per aver ricordato in quell’aula, dopo quarantaquattro anni, l’omicidio di Fausto e Iaio. E per aver evidenziato il fatto che, da quel giorno, non abbiamo avuto né un processo né giustizia”.

Quelle parole arrivano da una storia di estrema destra. E verso l’estrema destra, romana in questo caso, puntarono le indagini. Perché accettare questa mano tesa?“Noi parliamo al di là del fatto politico. Oggi, riguardando indietro, non può fare differenza tra un ragazzo morto ammazzato di destra, com’era Sergio Ramelli, e uno di sinistra. Erano vite spezzate e famiglie distrutte. Oltre i simboli, andrebbe ricordato chi era mio fratello”.

Chi era Fausto?“Un ragazzo che andava nelle scuole a fare prevenzione contro l’eroina. E la sera andava al Leoncavallo per insegnare agli operai che volevano prendersi la licenza media. Non era un militante, come Iaio, e non erano estremisti. Abbiamo una ragione in più per ringraziare La Russa”.

Quale?“Ha scritto più volte a mia madre. L’ha incontrata personalmente, ha continuato a interessarsi a noi, al di là dell’ideologia, di divisioni che oggi non ci sono più, perché quella destra e quella sinistra non sono più paragonabili a quelle attuali. Ecco, Ignazio La Russa fu uno dei pochissimi”.

Chi altri?“In politica posso citare solo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione vittime di Bologna e poi parlamentare Pd. Tutti gli altri, anche quelli che si sono sdegnati, quelli che nel ’78 ci erano vicini quando i morti erano caldi, negli anni ci hanno abbandonati. Tutto è finito nel dimenticatoio. Ci hanno supportato giornalisti come Umberto Gay e Daniele Biacchessi, ma le telefonate della politica a mia mamma Danila sono finite. C’erano altre vittime da portare in giro”.

Quando cominciò questo contatto con La Russa?“A metà degli anni Ottanta, ce lo fece conoscere un brigadiere che lavorava ancora al caso di mio fratello. Per noi, le parole del Senato non sono uscite dal nulla”.

Dunque, non vi siete sentiti utilizzati a fini politici, in questo baratto tra pacificazione e legittimazione?“No, non ci sentiamo strumentalizzati. Dei giochi politici non ci interessa. E chi ha sofferto siamo noi: la famiglia di Iaio, mia madre, che perse un figlio a 18 anni e ne ha vissuto altri 44 logoranti”.

Lei perse un fratello che, di fatto, non ha mai conosciuto.“Guardi, io quella sera avrei dovuto essere in via Mancinelli con loro due. Mia madre lavorava ed era Fausto che mi accudiva nel pomeriggio, che mi portava in giro nel passeggino. Mi salvò il vento di marzo, letteralmente: avevo l’otite quel giorno e mia madre chiese a mio fratello di lasciarmi a casa. Da quel giorno sono stato il suo ultimo appiglio”.

Perdoni se la riporto sulla politica. Ogni anno, il 18 marzo è una giornata di ricordo pacifico, in cui però nessuno di quelli che chiede la pacificazione si è mai fatto vedere. E il 29 aprile una sfilata di fascisterie.“Quelle braccia tese non le commento, non sono certo le mie idee. Capisco se La Russa, o altri, non è mai venuto in via Mancinelli: sarebbe stato visto come una provocazione, avrebbe avuto bisogno dell’auto blindata, e così se militanti di sinistra fossero andati in via Paladini. A destra e sinistra ci sono persone che ragionano e altre che non si controllano e con cui non ci si può confrontare”.

A questo punto, oltre a ringraziarlo, chiederete al presidente del Senato un aiuto istituzionale ad avere verità e giustizia? Anche perché, quelle mani omicide furono fasciste.“Assolutamente. Magari adesso potrebbe indurre qualcuno a riflettere, potrebbe aiutarci a far luce. Del resto, i nomi dei presunti assassini si sanno, anche se sono stati prosciolti. E troppi reperti, su cui oggi si potrebbero fare nuove analisi, sono spariti dai sotterranei del Tribunale, a cominciare dai passamontagna. Ma quello che non si sa davvero sono i mandanti”.

E voi un’idea l’avete sempre avuta. Collegata alla vostra casa di via Monte Nevoso, a Moro e Br.“Casa nostra era di fronte al covo brigatista. Apparati segreti avevano affittato l’appartamento sopra al nostro per spiarli. Moro lo avevano rapito da due giorni. E chi erano Fausto e Iaio per mandare tre killer da Roma ad ammazzarli? Non avevano questo spessore, eppure vennero eliminati, perché si doveva, per sviare l’attenzione da altro. Mia madre ha 86 anni e non ha smesso di essere in prima linea. Ha bussato alle porte di tutti. Volevamo giustizia, ma con certi ambienti è impossibile ottenerla”.

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