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Le polemiche sulla fiamma non si smorzano. Le rinfocola Carlo Calenda, l’unico leader extra-centrodestra ad avere speso parole di apprezzamento per la condanna di Giorgia Meloni sul fascismo come dittatura e sulle «infami leggi contro gli ebrei». Il segretario di Azione, ora front runner del cartello centrista nato in abbinata con Matteo Renzi, ce l’ha proprio con la fiamma tricolore che l’ex ministra della Gioventù non ha voluto cestinare: comparirà sul simbolo di Fratelli d’Italia alle elezioni del 25 settembre e «ne andiamo fieri», dice lei.
«Ho riconosciuto – twitta Calenda – unico avversario, a Giorgia Meloni la nettezza delle sue affermazioni sul ripudio del fascismo. È tuttavia un grave errore tenere il simbolo di un partito fascista come l’Msi nel logo». Per l’ex ministro dello Sviluppo «è chiaro che Meloni non ha dimestichezza con le relazioni internazionali». All’estero, sostiene, «l’ostentata matrice missina di Fratelli d’Italia renderà impossibile avere normali relazioni con i partner internazionali. Il rischio non è il fascismo in Italia, ma l’isolamento. Un dramma per un Paese che vive di Made in Italy e di sostegno finanziario dell’Ue».
Dal fronte dem, si assesta sulla stessa linea Carlo Cottarelli, che correrà con Pd e +Europa, probabilmente in un collegio della Lombardia: «Ho sostenuto, anche in una recente intervista alla Bbc, che FdI non è un partito fascista e che non c’è un pericolo per la democrazia italiana – è il commento dell’ex dirigente dell’Fmi arruolato da Letta e Bonino – Però essere “fieri” della fiamma del Movimento sociale, come dice Meloni, vuol dire essere fieri dei nostalgici del fascismo». A suo giudizio, dunque, «è un grave errore».
Meloni sul punto comunque non arretra. Nel giorno in cui rilancia sul presidenzialismo – che a suo dire la sinistra teme «perché a quel punto per governare dovranno vincere» – ripete che «la fiamma nulla ha a che fare con il fascismo, ma è il riconoscimento del percorso fatto da una destra democratica nella nostra storia repubblicana». Qualcuno però perfino nel suo partito ne avrebbe fatto a meno, stavolta. Tra questi, a sorpresa, Rachele Mussolini, nipote del duce e stra-votata consigliera comunale a Roma, con 6.522 preferenze personali alle elezioni dell’ottobre scorso. «Fosse per me, l’avrei tolta, la fiamma – confida a Repubblica – Capisco che per molti militanti ci sia un’affezione. Per me, sinceramente, no».
Da soldato di uno dei partiti più disciplinati dell’arco parlamentare, comunque rispetta gli ordini di scuderia: «Sono molto discreta, a Giorgia della fiamma nemmeno ne ho parlato, anche se ho il suo numero di cellulare. Capisco che la maggioranza dei militanti, anche giovani, che non hanno nulla a che fare con certi retaggi del passato, ci siano affezionati e dicano: non si tocca. I problemi degli italiani in ogni caso sono altri. E Meloni ha un programma serio, lo dimostrerà al governo». Un’altra nipote di Mussolini, Alessandra, invece si smarca dalle polemiche. Le commenta con una risata, al telefono: «La fiamma nel simbolo di FdI? Ha ha ha, mamma mia…». Clic.