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Calenda, l’uomo mercato corteggiato da tutti. “Ma non ho ancora deciso”

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ROMA – Carlo Calenda si accende una Marlboro dopo l’altra. A un certo punto il pacchetto è vuoto, allora tira fuori dal portafogli una banconota da 50 euro e prega una collaboratrice di prendergli “una stecca, che oggi sarà lunga”. Dice: “Berlinguer aveva i denti ingialliti dalla nicotina, ma di quella generazione si apprezzavano le idee non il fisico, di me invece dicono che ho la pancia. Non me ne frega niente”.

Calenda il più corteggiato

È più corteggiato di una bella signora. I sondaggi lo danno al sei per cento, una dote decisiva per il centrosinistra, ma lui è convinto che alla fine sarà molto più ricca, “anche alle elezioni a Roma partii dal sei e alla fine arrivai al venti”. Tutti cercano Calenda, l’uomo mercato a cui Enrico Letta affida le speranze per non affondare contro l’armata della destra. E lui, fiero di tanta attenzione, ha commissionato un super sondaggio per capire cosa deve fare: un’alleanza tecnica col Pd o andare da solo? “Tra pochi giorni deciderò”, dice tutto misterioso.

La sede di Azione, in Corso Vittorio Emanuele II, al terzo piano, scala A, sembra una start up. Una ventina di giovani chini sui loro pc portatili. “È il nostro ufficio studi”. Calenda entra e declama teatrale: “Ufficio studi!”, i ragazzi ridono. Nella sua stanza ha affisso sul muro l’immagine di Piero Gobetti e una di Churchill, e poi tiene lì un pupazzo squalo. “Lo so, passo per antipatico, ma è proprio questo che spiega il sei per cento: il linguaggio concreto e diretto di uno che ha delle idee e anche il curriculum per attuarle”.

A sedici anni fece una figlia, Tay, (“lo ricordo come un periodo bellissimo ma anche durissimo, l’allattavo e le cambiavo i pannolini: oggi ha 33 anni”). Ha lavorato per la Ferrari e per Sky. “I politici non li capivo quando parlavano, questo è un Paese che ha illuso la realtà con l’uso della retorica”. A lungo è passato per il fratello minore di Matteo Renzi, hanno fondato i rispettivi partiti nello stesso periodo, e hanno litigato un sacco di volte (è molto facile litigare con Calenda). “Penso che Renzi vada coinvolto”, afferma. “A me converrebbe andare da solo, ma so cos’è il senso di responsabilità: l’obiettivo è il governo del Paese e non regalare i voti alla destra”. E quindi siglerà l’alleanza? “Eh, aspettiamo il sondaggio”, taglia corto.

Calenda e il sondaggio

“Nessuna parla di cultura. Noi siamo un partito serio e abbiamo fatto trenta seminari sulle nostre radici ideali. Con Matteo Richetti abbiamo deciso di candidare soltanto chi ha già avuto esperienze amministrative”. Anche Richetti, come Calenda, viene dal Pd. Ma nella sua stanza ha fatto affiggere il manifesto di Sturzo. Calenda sfoglia libri della libreria. “Guardi qui, quelli di Giddens e Kissinger, spero che i ragazzi ogni tanto ne prendano qualcuno”. Cita Stuart Mill ed Einaudi, “sono per i doveri civici come Mazzini. L’Italia è il secondo Paese più ignorante d’Europa. La gente crede a Berlusconi che promette di piantare un milione di alberi. E i ragazzini a undici stanno sui social, sarebbe vietato”. 

Dice: “Oggi i politici si sentono attori”. Anche lei lo è, obiettiamo. “Sì, ognuno si costruisce un personaggio, ma quando stavo al governo sono andato in tv solo dieci volte e ho concluso settanta trattative. Ricordo come contestavano il Tap in Puglia, che oggi ci fornisce il quindici per cento del nostro fabbisogno di gas dall’Azerbaigian, Di Maio andò lì per contestarlo. E agli operai tiravano le pietre. Ci sono tornato. Il gas passa otto metri sotto terra, nessuno lo vede. Siamo un Paese anziano, povero di lavoro, ma ricco di patrimoni, la cosa peggiore che ti possa capitare. Tipo il Giappone”.

Nella sede si aggira Filippo Rossi, che un tempo stava con Fini, ci presenta il sindaco di Cinisi, “azionista della prima ora”, devono fare la riunione su questo fondamentale sondaggio. “Dov’è finito Richetti?”, chiede Calenda, col piglio dell’uomo del fare. E Carfagna e Gelmini? “Non le ho ancora viste”. Ma verranno? “Penso di sì, ne sono felice”. Ogni giorno twitta senza requie, ingaggiando battaglie furibonde con chiunque, un attaccabrighe seriale, non lo amano a sinistra, “non vale la Calenda”, è stata la copertina del manifesto due giorni fa. Calenda però si definisce liberale e popolare, “un liberale di sinistra”, ha scritto anche la prefazione alla riedizione del libro di Carlo Rosselli. “Non ho problemi a lavorare con Letta, anzi, però imbarca personalità che l’Agenda Draghi non l’hanno mai votata, tipo Bonelli e Fratoianni. Vedrà che cercheranno di recuperare il rapporto coi Cinquestelle, che per me sono sempre stati veleno”. 

“La destra non vincerà queste elezioni. Ha ragione Berlusconi: i sondaggi veri sono quelli che non si potranno pubblicare nell’ultima settimana. Ma se sarò smentito Giorgia Meloni non farà dell’Italia un’altra Ungheria, ma il Venezuela di Chavez. La destra è per permettere a ciascuno di fare come gli pare, niente regole, così diventeremo la periferia dell’Europa”.

Tutto questo gigantesco corteggiamento ha aumentato, se possibile, la sua autostima: l’altro giorno si è proposto come premier. “È un gran comunicatore”, commenta il suo portavoce, Angelino Di Silvio: “Fa pure il mio mestiere eppure continua a pagarmi lo stesso”. Calenda si accende un’altra sigaretta. Gli diciamo che un barista di Catania ci ha detto che lo vota perché “è pazzo completo”. “Pazzo completo”, ripete tra sé, divertito. “Mi piace”. 

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