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di Erika Tomasicchio
Sta destando preoccupazione all’estero e ora anche in Italia, all’indomani della morte di un paziente rientrato dalla Grecia che l’aveva contratta, venuto meno durante il ricovero all’ospedale Sacco di Milano. Parliamo della Candida auris. Ma di cosa si tratta?
La Candida auris è un tipo di Candida poco conosciuta, un fungo isolato per la prima volta nel 2009 in Giappone dall’orecchio (in latino “auris”) di una donna, da cui prende il nome. In Europa la Candida auris è arrivata nel 2015, facendo la sua comparsa in Francia. Nel 2021, secondo i dati del Ministero della Salute, ha fatto registrare oltre 3.700 casi negli Stati Uniti. Da noi invece la prima identificazione risale al 2019; diede vita a un focolaio intra-ospedaliero nel 2020 e nel 2021 in Liguria e in Emilia-Romagna. Il fungo infatti si diffondei con facilità in ospedali e case di cura, risultando purtroppo letale nelle forme più invasive.
Perché la Candida auris è pericolosa
Ma perché la Candida auris è considerata così pericolosa? Anzitutto è molto infettiva – fa sapere l’Istituto Superiore di Sanità – e molto resistente ad alcuni tra i più comuni antimicotici, cioè i farmaci usati per curare le infezioni da Candida. Per giunta è in grado di creare biofilm per “difendersi” dai disinfettanti e rimanere sulle superfici.
Inoltre, è difficile da riconoscere nei laboratori che siano sprovvisti di specifiche tecnologie. La Candida auris non colpisce le persone sane ma in genere i ricoverati in strutture ospedaliere e case di cura, chi necessita di dispositivi medici invasivi come cateteri vescicali, cateteri venosi centrali, tubi per tracheotomia e chi ha un sistema immunitario già indebolito.
«Può dar luogo a infezioni severe, spesso mortali negli individui ospedalizzati e più fragili, ad esempio i pazienti immunocompromessi, diabetici, con insufficienza renale cronica o dializzati e quelli a lungo ricoverati in terapia intensiva, come nel caso dell’uomo deceduto a Milano», spiega la dottoressa Antonella Castagna, primario del reparto Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Come si prende la Candida auris
Ma come si contrae? «La Candida auris si trasmette con facilità in ambiente ospedaliero, sia per contatto diretto tra individui che tramite contatto con dispositivi medici contaminati. Può essere isolata dalla cute, dal sangue, dall’orecchio, dalle secrezioni respiratorie e dalle urine».
I soggetti più esposti sono quindi i ricoverati, dunque già sottoposti a monitoraggio, anche se riconoscere il fungo non è semplice. «Nella quasi totalità dei casi si è trattato di infezioni acquisite in ambiente ospedaliero, con una sintomatologia che può variare a seconda del sito di infezione. Ci sono state difficoltà nella diagnosi precoce perché la Candida auris, in assenza di metodologie di laboratorio molto specifiche, può essere confusa con altri tipi di candida», precisa Castagna.
Ad oggi non esiste vaccino contro la Candida auris. «Ma l’infezione si previene con una rigorosa aderenza alle procedure di disinfezione e rispettando le norme igieniche in ospedale», precisa l’esperta. «Ad esempio preparando adeguatamente la cute prima di un intervento chirurgico, nell’inserimento e mantenimento dei cateteri, nella gestione delle tracheostomie, con la decontaminazione di apparecchiature e dispositivi che possono essere usati da altri pazienti».
Come si cura la Candida auris
Molto importante è il tracciamento. «In caso di infezione è molto importante isolare, ricoverando in stanza singola, i pazienti e tracciarne i contatti stretti per identificare il prima possibile altri contagiati. Il fungo è spesso resistente ai farmaci antifungini utilizzati per combattere le altre infezioni da Candida. Perciò si cura ricorrendo alle echinocandine e talvolta con associazioni di farmaci dai dosaggi molto elevati», spiega la dottoressa Castagna.
Purtroppo, le cure non sono brevi. «In presenza di un’infezione invasiva e con elevato tasso di mortalità, ad esempio quando si isola il fungo dal sangue, è necessario prolungare il trattamento per diverse settimane. Il paziente può rimanere colonizzato anche dopo il trattamento e questo impone il mantenimento di tutte le misure di controllo dell’infezione».
giugno 2023
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